venerdì 30 agosto 2019
In San Pietro le esequie del porporato morto a 95 anni. Il ricordo del suo segretario, l’arcivescovo Fontana. «Ripeteva: non si va in paradiso per la diplomazia, ma per il bene fatto»
L'ultimo saluto al cardinale Silvestrini nella Basilica Vaticana con papa Francesco

L'ultimo saluto al cardinale Silvestrini nella Basilica Vaticana con papa Francesco

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«C'è un’espressione di Achille Silvestrini che mi porto nel cuore». L’arcivescovo Riccardo Fontana è uscito da poco dalla Basilica di San Pietro dove si sono svolte le esequie del cardinale “artigiano” del dialogo morto giovedì a 95 anni. Il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro è stato per sette anni il segretario di Silvestrini, nella segreteria di Stato, quando era “ministro degli esteri” della Santa Sede. «Lui ripeteva spesso: “In paradiso non andremo per la nostra attività diplomatica ma per il bene che facciamo alla Chiesa e al prossimo”», racconta Fontana. Poi una pausa. «Ecco, Silvestrini è stato un uomo che ha vissuto il ministero sacerdotale coniugando amore per la Chiesa, passione per la cultura e attenzione all’altro, a cominciare da chi è indigente».

A celebrare la Messa presso l’Altare della Cattedra è il vice decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Giovanni Battista Re. Al termine il rito dell’ultima commendatio e della valedictio presieduto da papa Francesco. Nell’omelia Re ricorda che la «lunga e operosa vita» del prefetto emerito della Congregazione per le Chiese orientali «è stata totalmente spesa nella Curia romana al servizio della Chiesa, del Papa e della Santa Sede, ma anche al bene della società: i ruoli infatti che egli ha ricoperto lo hanno portato a operare a favore della pace, dei diritti umani e delle grandi cause dell’umanità in campo internazionale. E sempre lo ha caratterizzato un grande spirito sacerdotale, con un occhio di speciale dedizione alla formazione della gioventù». Come testimonia l’impegno a Villa Nazareth, la “casa” per universitari che, se non fossero stati aiutati, non avrebbero potuto completare gli studi per ragioni economiche. Re cita l’Ostpoliti che vide protagonista il porporato romagnolo il cui scopo «era di soccorrere e sostenere, per quanto possibile, la Chiesa cattolica nei Paesi che erano sotto l’egemonia sovietica, in modo che potesse continuare a vivere, o meglio a sopravvivere»; la partecipazione a tutte le fasi della Conferenza di Helsinki («È merito in parte anche suo, oltre che del cardinale Casaroli, se nell’Atto finale si riuscì a far inserire, fra i diritti umani, il principio della libertà di religione»); e la revisione del Concordato in Italia che mostra come Silvestrini abbia avuto «sempre particolarmente a cuore le questioni riguardanti l’Italia, cercando con passione di servire il bene comune degli italiani». E chiarisce: «Quanto egli ha fatto rimarrà negli annali della Santa Sede».


Venti i porporati che concelebrano, tra i quali il segretario di Stato, Pietro Parolin. Ventiquattro i vescovi. Con i membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, anche gli arcivescovi Edgar Peña Parra, sostituto della segreteria di Stato, e Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Fra le panche esponenti del mondo della cultura e della politica. Compreso il premier Giuseppe Conte, legato a Villa Nazareth, che alla fine viene salutato dal Papa. «È lì che Silvestrini ha declinato nel concreto il Vangelo della carità», sottolinea l’arcivescovo Riccardo Fontana.

Le vite di Fontana e Silvestrini si incrociano prima nelle aule. Il futuro cardinale è controrelatore della tesi di Fontana alla Pontificia Università Lateranense e suo docente alla Pontificia Accademia ecclesiastica. Poi in segreteria di Stato dove Fontana arriva dopo l’esperienza nella nunziatura in Indonesia. «Sono stato accanto a don Achille nel Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa fino alla sua nomina a prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica nel 1988», racconta il presule. E confida: «Come molti romagnoli aveva un carattere asciutto, alieno da qualsiasi forma di clericalismo». Fontana torna con la mente alle giornate nel Palazzo Apostolico. «Silvestrini aveva una capacità di lavoro straordinaria. Arrivava prestissimo al mattino. Non c’era orario per il pranzo. E potevamo andare avanti fino alla tarda serata. Ma dietro i dossier o le carte Silvestrini vedeva sempre gli uomini». Il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro delinea la visione “silvestriniana” della diplomazia che «va vissuta con competenza e distacco allo stesso tempo, senza ricercare privilegi ma il bene comune». E cita l’Ostpolitik. «Mai ci furono cedimenti oltre la cortina di ferro. Qualcuno avrebbe preferito magari una “crociata” a favore della Chiesa. Silvestrini seguì la via della pazienza portando a casa risultati inaspettati». E il Concordato? «È stato frutto di una mediazione certosina». Fontana tiene a sottolineare anche la «vicinanza di don Achille a chi era in difficoltà» e la sua «passione per la storia». «Si deve a lui il progetto di pubblicare gli Atti e documenti della Santa Sede relativi al periodo della seconda Guerra mondiale. Un’operazione di trasparenza fuori del comune».

Subito dopo le esequie nella Basilica Vaticana, le spoglie del cardinale Achille Silvestrini sono state portate a Villa Nazareth dove è stata celebrata una Messa. Sabato mattina la salma giungerà a Brisighella, paese d’origine del porporato in Romagna, dove alle 16 nella collegiata di San Michele Arcangelo si terrà la Messa presieduta dal vescovo di Faenza-Modigliana, Mario Toso, prima della sepoltura. In una nota Toso ha messo tra l’altro in luce l’impegno sociopolitico del cardinale e ha sottolineato che il porporato «ha seguito il cammino della nostra diocesi e delle Chiese sorelle di Romagna: anche a lui va il grazie per aver organizzato la visita di san Giovanni Paolo II in terra di Romagna nel maggio del 1986».

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