lunedì 13 maggio 2013
​​Disoccupazione, lavoro nero, precariato, mancata conciliazione lavoro famiglia, fuga dei cervelli: sono aspetti dell’emergenza occupazionale italiana oggetto di un'analisi del progetto culturale della Cei i cui risultati sono stati presentati a Roma alla presenza del cardinale Camillo Ruini e del segretario generale della Cei mons. Mariano Crociata.
Al lavoro per ridare valore e senso al lavoro di Michele Tiraboschi
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Quattro capitoli di carta e inchiostro, più uno ideale. «Scritto con il sangue di quanti escono di casa per andare al lavoro e non vi fanno più ritorno; e con le lacrime di familiari delle vittime e dei loro compagni di lavoro». E dunque, purtroppo, particolarmente attuale in questi giorni, dopo il tragico incidente del porto di Genova. Ad aggiungerlo al III Rapporto-proposta del Progetto culturale, quel capitolo, sono le parole del segretario generale della Cei, il vescovo Mariano Crociata che – all’atto della presentazione del volume (svoltosi ieri nella sede romana dell’editore, Giuseppe Laterza) – ha fatto precedere le citate espressioni alla lettura del testo preparato dal cardinale Angelo Bagnasco. L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei doveva presenziare, insieme con il cardinale Camillo Ruini, all’incontro. Ma proprio per restare più vicino a quella che egli stesso ha definito «una tragedia di famiglia», ha rinunciato al viaggio inviando comunque il discorso che avrebbe tenuto. E così la presentazione del Rapporto Per il lavoro è stata dedicata alle vittime e all’intera città di Genova, come proposto dallo stesso Crociata.Atto per altro non solo ispirato a una comprensibile solidarietà umana e cristiana. Ma in profonda consonanza (oltre che con il tema lavoro) con lo spirito e la lettera dello studio, che segue (integrandoli) i precedenti Rapporti-proposta sull’educazione e sulla demografia. Se, infatti, è vero – come sottolinea il saluto del cardinale Bagnasco – che «l’uomo, e non le strutture, è il centro e il fine del lavoro», è anche vero – come si evince dal Rapporto – che «la crisi del lavoro è una crisi antropologica». Perciò il cardinale annota: «Occorre un profondo rinnovamento strutturale che ponga l’uomo al centro del processo di sviluppo». È necessario «liberarsi da pesanti zavorre», come la disoccupazione «ormai a livelli patologici soprattutto per le fasce giovanili» e «il sempre più diffuso precariato». Inoltre, continua il presidente della Cei, «bisogna che si inverta la priorità tra lavoro e capitale, troppo spesso risolta a vantaggio del capitale e della finanza, non più posti a sostegno della crescita, ma chiusi in un processo di autoreferenzialità».Bagnasco precisa però che «la Chiesa non intende formulare un programma di governo, ma suggerire linee di fondo che orientino l’azione politica, richiamando in particolare la dignità della persona umana, da considerare nella sua unitarietà come il vertice e il fine ultimo della società stessa». E proprio su questa via dei principi, chiedendo «una maggiore valorizzazione dell’uomo», fa appello a mettere in campo «ogni sforzo affinché siano eliminate, oltre alle numerose sacche di non lavoro, le condizioni lavorative non degne della persona, ogni forma di asservimento dell’uomo al capitale e tutte le situazioni di sfruttamento».Sulla stessa linea d’onda l’intervento del cardinale Camillo Ruini, che del volume ha scritto la prefazione in quanto presidente del Comitato per il progetto culturale (carica lasciata di recente allo stesso Bagnasco, ma mantenuta fino a quando il Rapporto è stato composto). «Dallo studio – ha detto ieri – emerge un declassamento dell’Europa e in particolare dell’Italia, non solo congiunturale e non imputabile soltanto a qualche fattore specifico, ad esempio la politica. Di qui la necessità di rimettersi in discussione, attraverso un processo che deve andare in profondità rimodellando la nostra auto-comprensione e auto-interpretazione, sia personale sia collettiva: da quella delle famiglie a quella complessiva della nazione». Il filo conduttore, ha fatto notare il porporato, «sembra quello di liberare il mercato del lavoro da norme e regolamentazioni ormai obsolete e controproducenti, senza però lasciarsi guidare da una pura e astratta logica di mercato», ma piuttosto dall’«interesse comune».D’accordo sulla prospettiva antropologica anche il sociologo Giuseppe De Rita e l’economista Michele Tiraboschi, moderati da Sergio Belardinelli (questi ultimi due tra gli estensori del Rapporto). «Liberare il mercato del lavoro, cambiare le modalità produttive e investire nella formazione dei lavoratori sono tre proposte contenute nel volume che mi trovano del tutto in linea», ha detto il primo. Mentre per Tiraboschi «il valore aggiunto dello studio sta nel non dimenticare che al di là delle proposte tecniche ci sono le persone». E che «anche nel mondo del lavoro la relazionalità è meglio dell’individualismo».
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