domenica 1 gennaio 2023
Il presidente della Cei e cardinale di Bologna nella Messa del Te Deum del 31 gennaio e in quella del primo gennaio ha ricordato l'insegnamento del Papa emerito
Il Te Deum di ringraziamento con il cardinale Zuppi si è svolto nella Basilica di San Petronio

Il Te Deum di ringraziamento con il cardinale Zuppi si è svolto nella Basilica di San Petronio - Foto Bragaglia Minnicelli

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Il ricordo commosso e riconoscente del Papa emerito Benedetto XVI e l’invito pressante ad essere, anche proprio sulla sua scia, «operatori di pace», «artigiani di pace» di fronte alla tragedia della guerra. Sono stati questi i due temi dominanti delle omelie che il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nelle due omelie di fine e inizio anno: quella del Te Deum di ringraziamento che ha presieduto ieri, ultimo giorno dell’anno civile, nella basilica di San Petronio, principale tempio cittadino; e nella Messa per la festa di Maria Madre di Dio nella 56ª Giornata Mondiale della Pace, oggi nella cattedrale di San Pietro.

Nell’omelia del Te Deum Zuppi ha ricordato «con tanta commozione» Benedetto XVI, scomparso ieri mattina. E ne ha ricordato il legame con Bologna, che risale proprio alla scelta del nome come Pontefice. Infatti, ha ricordato Zuppi, dopo l’elezione Ratzinger disse: «Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV (Della Chiesa, arcivescovo di Bologna), che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale». Di lui, ha ricordato sempre il cardinale, disse papa Ratzinger: «Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste (definì tale guerra “Un’inutile strage”, ndr)». E concluse: «Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono purtroppo fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l’apporto di tutti».

E Zuppi ha commentato: «Papa Benedetto XVI ha amato e servito sempre con rispetto e gratuità la Chiesa, da umile lavoratore nella vigna, difendendola dalla sporcizia ma sempre cercando il suo contrario che è la giustizia della misericordia. Questa sera lodiamo, perché Dio è sempre la prima e ultima lettera della nostra vita, che non è, come disse sempre Papa Benedetto, un cerchio che tristemente e in maniera irreversibile si chiude, ma una linea che procede verso la casa del Padre». E ad essere «artigiani di pace» è stato l’invito rivolto a tutti dall’Arcivescovo, per combattere «la nuova pandemia della guerra». E questo dopo aver invitato a chinarsi sulle tante fragilità del nostro tempo: dagli anziani ai carcerati, dai giovani bisognosi d’amore a chi è fragile psichicamente ma ha soprattutto bisogno di una comunità che lo sorregga. «Non si può essere felici che insieme – ha sottolineato -. Ce lo ha insegnato la pandemia, non dimentichiamolo!». «Abbiamo l’arma del perdono, l’unica che estingue l’odio ed evita la vendetta – ha concluso Zuppi - la conoscenza che libera dal pregiudizio, il dialogo che costruisce ponti, abbatte muri, stringe legami di unità; l’accoglienza che mi fa scoprire il prossimo di cui ho bisogno, vince la divisione e ci fa godere della diversità».

Nella Messa di oggi, Zuppi all’inizio ha ricordando la Prima Giornata della Pace, voluta da san Paolo VI nel 1968, e soprattutto ha fatto sue «interamente» le parole che disse i quell’occasione l’allora arcivescovo di Bologna cardinale Giacomo Lercaro. Egli, citando il Messaggio di Paolo VI «Vorremmo che non mai ci fosse rimproverato da Dio o dalla storia di avere taciuto davanti al pericolo di una nuova conflagrazione fra i popoli, che potrebbe assumere forme improvvise di apocalittica terribilità», aggiunse: «Anche a me, voglia il Cielo che non si debba mai rimproverare di avere taciuto qualche cosa che potesse essere essenziale alla valida testimonianza di pace».

Poi, nell’omelia, ha sottolineato che «viviamo giorni bui, di guerra: è bene ricordarlo, altrimenti cadiamo nell’inganno di definire, ad esempio, “operazione speciale” in Ucraina quella che è a tutti gli effetti una guerra: guerra che coinvolge tanti, in tante parti del mondo, e di fronte alla quale non possiamo rimanere spettatori». Zuppi ha insistito sul fatto che, come la guerra, anche e ancor di più «la pace riguarda e coinvolge tutti: non si vive se non c’è pace»; e ha invitato: «Vegliamo come i pastori nella notte, con la preghiera e solidarietà, cercando con perseveranza la via della pace, che nasce anzitutto dal da cuore degli uomini».

Per questo il Messaggio del Papa per la Giornata della Pace «è rivolto a tutto perché tutti siamo esperti e artigiani di pace, e se c’è un “popolo di pace”, è davvero meno facile che ci sia un ambiente intossicato dal male e dalla guerra». «La pandemia ci ha fatto comprendere che siamo tutti stessa barca – ha concluso Zuppi - e non ci si può salvare da soli. Anche ora, di fronte alla pandemia della guerra abbiamo bisogno di Gesù e dei fratelli, e i fratelli hanno bisogno di Gesù e di noi suoi testimoni. Solo la famiglia di Gesù può curare tutti i problemi e costruire davvero la pace».

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