giovedì 21 gennaio 2021
Nella Lettera l’arcivescovo di Bologna richiama i limiti nell’esercizio del potere e il legame tra diritti e responsabilità collettive
Il cardinale Matteo Zuppi

Il cardinale Matteo Zuppi - Ansa

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«Cara Costituzione,

sento proprio il bisogno di scriverti una lettera, anzitutto per ringraziarti di quello che rappresenti da tempo per tutti noi. Hai quasi 75 anni, ma li porti benissimo! Ti voglio chiedere aiuto perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare. E poi che cosa ci serve litigare quando si deve costruire?».

È con queste accorate parole che il cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi inizia una lettera alla Costituzione italiana.

QUI IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA

Nel testo, diffuso ieri, il porporato fa riferimento a questo tempo doloroso segnato dalla pandemia. «Stiamo vivendo – scrive Zuppi – un periodo difficile. Dopo tanti mesi siamo ancora nella tempesta del Covid. Qualcuno non ne può più. Molti non ci sono più. All’inizio tanti pensavano non fosse niente, altri erano sicuri che si risolvesse subito, tanto da continuare come se il virus non esistesse, altri credevano che dopo un breve sforzo sarebbe finito, senza perseveranza e impegno costante. Quanta sofferenza, visibile, e quanta nascosta nel profondo dell’animo delle persone! Quanti non abbiamo potuto salutare nel loro ultimo viaggio! Che ferita non averlo potuto fare!».

«Quando penso – aggiunge il cardinale rivolgendosi alla Carta – a come ti hanno voluta, mi commuovo, perché i padri costituenti sono stati proprio bravi! Erano diversissimi, avversari, con idee molto distanti, eppure si misero d’accordo su quello che conta e su cui tutti - tutti - volevano costruire il nostro Paese».

Per il cardinale di Bologna «non si può vivere senza speranza» e quindi «non è possibile star bene da soli, perché possiamo star bene solo assieme». Infatti la Carta ci ricorda che «dobbiamo imparare che c’è un limite nell’esercizio del potere e che i diritti sono sempre collegati a delle responsabilità collettive», che «i diritti impongono dei doveri», che ognuno è «chiamato a pensarsi, progettarsi e immaginarsi sempre insieme agli altri». La Carta chiede «a tutti di mettere le proprie capacità a servizio della fraternità», perché la società «non è un insieme di isole ma una comunità fra persone, tra le nazioni e tra i popoli».

La lettera ripercorre poi i principi e i diritti fondamentali della Carta, richiamando vari articoli e sottolinea che «la libertà non è mai solo da qualcosa ma per qualcosa», e perché un’attività o una funzione concorra al progresso materiale o spirituale della società è chiamata a trasformarsi da «libertà da» in «libertà per». E ribadisce che «l’educazione, la casa e il lavoro sono indispensabili per vivere». Il cardinale Zuppi chiede di superare «gli interessi di parte» e di esprimere un nuovo e vero «amore politico», come richiama papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”.

E infine lancia un appello alla pace, al disarmo, riprendendo l’eredità storica di chi ha saputo unire dopo la guerra. «Avevi nel cuore – scrive Zuppi rivolgendosi sempre alla Carta – l’Europa unita perché avevi visto la tragedia della divisione. Senza questa eredità rischiamo di rendere di nuovo i confini dei muri e motivo di inimicizia, mentre sono ponti, unione con l’altro Paese».

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