giovedì 17 aprile 2025
Il segretario generale della Cei riflette sull'esempio di Francesco e sul ruolo della Chiesa nel mondo: staremo sempre dalla parte di coloro che vengono considerati “danni collaterali” o pedine
L'arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari

L'arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari - Siciliani

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Il vero potere? È quello che ha la forma di un servizio per amore, di un impegno a disinnescare i conflitti e a valorizzare la dignità di ogni persona, soprattutto dei più deboli. È questo, secondo Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari, il messaggio che papa Francesco, e con lui tutta la Chiesa, offre oggi a un mondo ferito e in attesa della vera speranza. Una riflessione che il presule offre ad Avvenire a pochi giorni dalla celebrazione dell’evento centrale della vita della Chiesa: la risurrezione di Cristo.

Il Papa, nonostante la sua condizione di fragilità, in questo periodo non ha smesso di essere presente: quale messaggio ci sta consegnando?

I gesti del Papa sono un modo per mettere al centro l’opera di Gesù Cristo, così come la vivremo in questi giorni nella memoria della Pasqua. Pensiamo ai due discepoli che vanno a Emmaus: per loro è un momento difficile, di sconforto, anche di delusione, e lì Gesù, che si accosta a loro, cambia i loro occhi facendosi vicino, presente, dialogando in un incontro fatto di interrogazione ma anche di compagnia e di conforto reciproco. Il Papa, secondo me, ci vuole ricordare concretamente che l’umanità di una persona che appartiene a Gesù, totalmente presa e trasfigurata dall’amore di Cristo, diventa segno per tutti di una forza che non deriva dalla carne e dal sangue ma da una volontà di esser presente per la vita dell’altro. Nell’umiltà di mostrarsi nella sua debolezza, Francesco vuole dire che il senso della nostra missione di credenti è di essere in Cristo un segno d’amore per gli altri. In un mondo sempre più tentato di pensare che la riuscita della vita dipenda dalla soddisfazione di ideali di perfezione, dall’esaltazione del singolo, il Pontefice ci sta dicendo che la riuscita della vita è nell’amore e che c’è una forza che è più grande delle nostre capacità e che attraverso di noi si comunica agli altri. Con questa sua testimonianza Francesco indica alla Chiesa e al mondo intero l’autentico modo cristiano anche di costruire le relazioni.

Agli occhi del mondo la Chiesa può risultare indebolita dalla fragilità del suo leader?

No, io penso che, al contrario, questo la avvicini al vissuto di tante persone che possono percepire anche l’esempio del Papa come prossimità, vicinanza, immedesimazione con le condizioni di tutti, portando dentro però la forza del Risorto. Fin dai giorni del ricovero al Gemelli, proseguendo il proprio lavoro, Francesco ci ha dimostrato che la vita dell’uomo in ogni sua contingenza, anche in quella di una malattia, è una responsabilità nei confronti degli altri.

Oggi, nei rapporti internazionali, sembra prevalere la logica di un potere che è prevaricazione. Cosa può fare la Chiesa per disinnescare questa radice che sembra essere la causa dei conflitti in atto?

Il Papa nell’enciclica Fratelli tutti, nel 2020, metteva già in guardia dalla creazione di condizioni per la proliferazione delle guerre. Di fronte a questo panorama c’è una responsabilità, che compete ai governi e a tutti gli uomini di buona volontà, e una responsabilità propria della Chiesa ma anche delle altre Confessioni cristiane e religioni, come sanciva la dichiarazione di Abu Dhabi. Un primo compito è quello della purificazione del linguaggio: non possiamo abituarci a un linguaggio di contrapposizione, di polarizzazione o di demonizzazione dell’avversario, né possiamo rassegnarci a un linguaggio che assuma come inevitabile il conflitto. Va alimentato, invece, un linguaggio capace di riconoscere dignità all’altro ma anche di parlare di pace, di condizioni di giustizia e di libertà. Alla Chiesa, poi, spetta il compito di coinvolgere tutti in una preghiera corale, perché la pace è una responsabilità degli uomini ma è un dono di Dio che va invocato, perché solo Dio può cambiare il cuore. Poi c’è un compito educativo: ad Abu Dhabi si diceva che per evitare il proliferare di guerre, di estremismi e del terrorismo è necessario educare al vero senso religioso, perché chi è educato a cercare Dio non può pensare che l’altro sia un nemico da battere o un complice con cui stringere alleanza, l’altro è un fratello da accompagnare. C’è poi un impegno umanitario che non è venuto meno: noi saremo sempre al fianco delle vittime, al fianco di coloro che vengono considerati “danni collaterali” oppure semplici pedine. E poi dobbiamo chiedere ai governi di lavorare per la pace concretamente: si è rinnovato anche ultimamente l’invito che il Papa aveva fatto nella Fratelli tutti per un disarmo delle armi nucleari che sia equilibrato, concertato ma anche totale. E la riduzione delle spese militari potrebbe andare a vantaggio di un fondo per la lotta alla povertà nel modo. Quindi sono tanti gli ambiti di impegno della Chiesa ma con un’unica preoccupazione: salvare l’uomo, curarne la dignità e aiutare i popoli a vivere nella libertà e nella giustizia.

Agenzia Romano Siciliani

Denatalità, povertà, flussi migratori: questi sono solo alcuni dei fronti caldi per il nostro Paese in questo momento. Cosa fa la Chiesa per dare risposte a queste sfide? E la politica sta dando risposte adeguate?

Innanzitutto, la Chiesa vive una prossimità con tutte le persone che soffrono queste difficoltà: a chi migra, a chi fa fatica a portare avanti una gravidanza, a chi perde il lavoro o vede svanire i propri progetti. Lo stile della Chiesa, fortemente rimarcato durante questo anno particolare del Giubileo, è proprio quello di farsi prossima a chi è in difficoltà, condividendo i bisogni e quindi la vita intera. Da questo amore al prossimo non può non derivare un amore politico, cioè l’amore di chi pensa alla necessità di strumenti amministrativi, legislativi ed economici per invertire un po’ la rotta. Il problema della denatalità, ad esempio, a mio parere deriva non soltanto dalla necessità di politiche famigliari efficaci, ma anche da una cultura e da una retorica che spesso banalizzano il tema del figlio, della nascita di una nuova vita. Il tema dello spopolamento, poi, richiede un nuovo modo di lavorare per esempio a favore dei servizi alle persone, che veda il pieno coinvolgimento del Terzo settore. Su questo punto noi apprezziamo tante politiche di coesione, che scattano di fronte ad alcuni indici, anche se forse ci vorrebbe più decisione nell’indicare gli strumenti di concertazione che prevedono il coinvolgimento delle comunità e del Terzo settore, appunto.

E sulla questione migratoria?

È un tema sul quale siamo senza dubbio sulla linea tracciata e confermata più volte dal Papa, che appartiene al dna di una comunità come la nostra fondata sul Vangelo: prima di tutto la dignità e la vita dell’essere umano, la necessità di salvarla. Siamo critici invece su alcuni atteggiamenti che non tengono conto dell’ampiezza del fenomeno, che richiede un approccio globale con l’intero Occidente impegnato anche a prevenire o a sanare le situazioni di povertà e di violenza che sono nel mondo. Il tema dell’accoglienza per noi ha un principio assolutamente fondamentale che è quello di salvare la vita e la dignità delle persone. E poi affermiamo la necessità di favorire un’integrazione che non sia assimilazione, come dice il Papa, ma valorizzazione anche delle diversità culturali.

Come sono i rapporti nel confronto con l’attuale governo?

I rapporti tra il governo e la Chiesa sono improntati alla sana cooperazione per il bene comune. Solo nell’ultimo anno, gli uffici della Segreteria generale Cei e i diversi Ministeri competenti hanno lavorato insieme per iniziative a favore delle persone con disabilità; per favorire la parità scolastica e la stabilizzazione dei docenti di religione; per la realizzazione di un Vademecum per la costituzione di comunità energetiche rinnovabili e per la semplificazione della normativa sul Terzo settore. Punto dolente rimangono le norme relative all’8xmille, per loro stessa natura bilaterali ma modificate unilateralmente.

La seconda Assemblea sinodale ha avuto un esito imprevisto e questo fatto ha avuto diverse letture: che cosa ha significato per la Chiesa italiana?

È di certo un evento che va letto alla luce di una storia, che in questi anni ha visto il coinvolgimento di centinaia di migliaia di fedeli, di centinaia di comunità e dell’appassionato contributo di tanti. Quindi bisogna collocarlo dentro questa vicenda, che è nata col desiderio di ascoltare il popolo di Dio e di invitarlo a partecipare in modo strutturale, in modo significativo nella dinamica di edificazione della comunione della Chiesa e nell’individuazione delle strade di missione. I lavori dell’assemblea hanno visto dei momenti di critica, di discussione, ma c’è stato un confronto molto sereno, molto positivo nei gruppi. E la volontà dei vescovi è stata quella di dare più spazio a questa discussione, anche rinviando l’Assemblea generale perché tutti, ognuno con il proprio ministero e con il carisma affidato alla propria responsabilità, possano contribuire a questo cammino, che ha come orizzonte non le semplice decisioni su equilibri interni, ma la missione stessa della Chiesa: portare il messaggio del Vangelo a tutti gli esseri umani, perché essi lo attendono.

Ruolo delle donne, accoglienza delle persone dall’orientamento sessuale non eterosessuale, il problema degli abusi: questi sono i temi che più attirano l’attenzione dei media. A che punto del percorso siamo?

Sono temi che ci spingono a crescere nella consapevolezza di cosa è la Chiesa, che è fondata su una comunione che abbraccia tutti nella diversità dei carismi e dei ministeri. Dobbiamo di sicuro crescere perché il genio femminile possa risplendere; non è solo una questione di quote o di partecipazione ai processi decisionali, è un problema di mentalità, di accoglienza. Stessa cosa si può dire delle persone di diverso orientamento sessuale: ci sono tante esperienze in giro per l’Italia, si tratta di ascoltarle per trarre delle indicazioni, per arrivare a proporre dei cammini di santità per tutti. E sugli abusi la Chiesa italiana ha fatto un cammino importante negli ultimi cinque anni, un itinerario che si concentra su tutto il territorio nazionale nella creazione di Servizi per la prevenzione e per la formazione. La costituzione dei Centri di ascolto e di denuncia copre tutto il Paese. Tutto il sistema viene monitorato annualmente da ricercatori universitari. E poi c’è il dialogo avviato con il mondo della scuola, dello sport e con le istituzioni. Da aggiungere l’avvio di uno studio pilota portato avanti da due enti accademici indipendenti, per indagare la dimensione quantitativa del fenomeno nelle istituzioni ecclesiastiche così com’è emerso negli ultimi vent’anni, per comprendere il fenomeno ed essere in grado di rispondere in maniera sempre più efficace. Tutto questo sta diffondendo una maggiore sensibilità sul tema: va in questo senso anche l’annuale Giornata di preghiera e sensibilizzazione, nella quale sono coinvolte in modo attivo le vittime della violenza.

In che modo questo tema entra oggi nei percorsi di formazione dei sacerdoti?

In questi anni sono stati moltissimi gli incontri fatti nei seminari per alimentare l’attenzione a questo tema e sostenere la formazione dei presbiteri come autentici uomini dell’amore e quindi del rispetto, che sappiano avere un rapporto di vigilanza nei confronti dei più piccoli a loro affidati e che sappiano leggere le situazioni di rischio che si possono creare dentro la Chiesa ma anche nel contesto circostante. Creare un ambiente sicuro passa dalla diffusione di una mentalità che riconosca come unica forma di potere il servizio e l’amore, secondo la visione evangelica. E in questi giorni pasquali lo vediamo bene: l’unica forma di potere che possiamo permetterci è quella di un servizio che arriva a donare la vita per amore, non a possedere o a ridurre l’altro a un oggetto. Senza libertà non può esserci amore: questa è l’essenza del potere nella Chiesa. Questo è il messaggio che il Papa, con i suoi gesti e le sue parole, assieme all’intera comunità dei credenti, oggi offre al mondo e a quanti hanno la responsabilità delle scelte.

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