mercoledì 20 febbraio 2013
Il gesuita Fessio racconta il lavoro degli allievi che da 35 anni si ritrovano per studiare il pensiero del loro professore: «È tra i teologi più importanti degli ultimi decenni». (Andrea Galli)
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​Padre Joseph Fessio, gesuita americano con origini altoatesine, classe 1941, fece un dottorato con il professor Joseph Ratzinger a Ratisbona, sull’ecclesiologia di Hans Urs von Balthasar, ed è uno dei membri più conosciuti del «Ratzinger Schülerkreis»: il gruppo di allievi di Benedetto XVI, rimasti in contatto negli anni e impegnati nell’approfondimento e nella divulgazione del suo pensiero. Fessio, fra i «ratzingeriani», si è distinto per lo spirito imprenditoriale: ha fondato un College cattolico a San Francisco e l’associazione liturgica «Adoremus», è stato tra i protagonisti della nascita dell’Ave Maria University, avvenieristica università cattolica con sede in Florida, ma soprattutto è stato ed è tuttora il padre della Ignatius Press, una delle più importanti case editrici del mondo cattolico di lingua inglese. «Il lascito più ovvio di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI sono i suoi scritti, che stanno conoscendo una diffusione mondiale, anche quelli prima del papato» dice Fessio al telefono dal suo ufficio di San Francisco, «poi aggiungerei due momenti: il 12 settembre 2006, ovvero il discorso di Ratisbona, che ha chiarito, tra le altre cose, alcuni principi in base ai quali impostare il rapporto con l’islam; e il 7 luglio 2007, ovvero il motu proprio Summorum Pontificum, che ha aperto la strada a un recupero degli elementi più validi del rito antico, per un rinnovamento liturgico, e che penso avrà delle ricadute importanti nel futuro».Fessio cita poi un contributo di Benedetto XVI che rischia di essere sottovalutato dagli osservatori europei: «Per gli Stati Uniti ha fatto una serie di nomine episcopali che hanno veramente cambiato il paesaggio ecclesiale: vescovi solidi dottrinalmente, preparati culturalmente e con un grande zelo apostolico».Fessio racconta di non essere potuto andare agli ultimi due incontri a Castel Gandolfo del «Ratzinger Schülerkreis», ma di aver un ricordo nitido del 2010: «In quell’occasione, nel seminario che si tenne il sabato mattino, mi sembrò per la prima volta di vedere Benedetto XVI anziano e fragile. Non l’avevo mai visto prima così debole. Ma dopo pranzo, dopo la siesta, è riapparso fresco e in forma e mi ha colpito. Se in alcuni momenti in questi anni è quindi apparso affaticato, è stato comunque sempre per un problema di età, una questione fisica, perché psicologicamente non mi è mai sembrato oppresso dalla responsabilità del suo ministero. Non l’ho mai visto perdere la sua proverbiale calma – anche se una volta mi hanno riferito che è accaduto – e l’ho sempre trovato tranquillo, con il suo fare da gentiluomo: incline all’ascolto, con il suo eloquio lento e chiaro». Per quanto riguarda le sue attese per il futuro, Fessio dice: «Negli anni ’50, ’60 e ’70 abbiamo avuto dei veri giganti in teologia: von Balthasar, De Lubac, Bouyer, Ratzinger stesso. Poi abbiamo avuto due giganti come Papi: Giovanni Paolo e Benedetto XVI. Durante il conclave del 2005 ero sicuro che Ratzinger sarebbe stato eletto, perché non c’erano altre personalità alla sua altezza. Penso che oggi non abbiamo bisogno di un altro gigante, ma di un buon pastore, che continui o porti a compimento quello che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno fatto, nel senso di un rinnovamento della Chiesa seguendo il vero Concilio Vaticano II».
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