sabato 9 ottobre 2021
Mons. de Moulins-Beaufort: è una prova dura, ma anche un momento necessario verso la verità. «Le conclusioni ci invitano all'umiltà e ci dicono di non smettere mai di restare in ascolto delle vittime»
L'arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort

L'arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort - Wikimedia Commons

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«Proviamo dolore, vergogna e indignazione per le ferite tanto profonde e sconvolgenti inflitte ad innocenti senza difese. Ringrazio papa Francesco per le sue parole di vicinanza alle vittime degli abusi nella Chiesa in Francia». Monsignor Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims e presidente della Conferenza episcopale francese, è convinto da anni che l’unica strada praticabile sia affrontare fino in fondo lo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa, appena rivelati in tutta la loro ampiezza sul suolo francese dal rapporto della commissione indipendente Ciase, affidata nel 2018 proprio dalla Chiesa di Francia a Jean-Marc Sauvé, già vicepresidente del Consiglio di Stato.

Che cosa rappresenta questo dossier voluto dalla Chiesa francese?
Rappresenta una prova estremamente dura, ma prima di tutto un momento necessario verso la verità. Sono conclusioni che ci invitano ancor più all’umiltà e ci dicono di non smettere mai di restare in ascolto della parola delle vittime e di chi ha sofferto con loro. Il nostro pensiero resta rivolto a quanti hanno vissuto un dramma tanto intimo e incommensurabile. Per questo, è pure nostro dovere leggere e studiare attentamente in ogni sua parte il rapporto, per appropriarcene e rispondere al meglio alle giuste attese che esprime.

Che cosa l’ha colpita nella lezione delle vittime che hanno trovato il coraggio di parlare?
Si tratta di testimonianze di un coraggio estremo. Ho potuto personalmente parlare con alcune di loro e questo mi ha aiutato a misurare la profondità del dolore che continua ad abitare nel cuore, spesso a distanza di tanti anni. Si tratta di ferite che non possono essere cancellate e che ci fanno sentire piccoli di fronte al male commesso.

«Che cosa ci è successo?», lei si è chiesto fin all’inizio del volume “La Chiesa di fronte alle sue sfide”. C’è stata una forma di cecità?
A lungo non abbiamo saputo vedere quanto stava accadendo e abbiamo poi tardato a comprenderlo. Si tratta di drammi che hanno riguardato tanti luoghi diversi legati alla Chiesa, come i convitti che accolgono dei ragazzi. Luoghi in cui certamente c’è stato anche chi non ha voluto vedere.

Lei ha evocato «le disfunzioni che hanno reso possibile che alcuni potessero imperversare per decenni e che solo così pochi siano stati denunciati». A che livello occorre correggere queste disfunzioni?
Se gli abusi sono stati commessi in luoghi precisi, le mancanze riguardano tutti i livelli. Non possiamo rifugiarci dietro l’idea che un male tanto pervasivo abbia riguardato solo perimetri ristretti. Abbiamo intrapreso un’opera di revisione e di controllo nelle diocesi, ma la riflessione deve continuare, guidata dall’assoluta volontà che tutto questo non possa più ripetersi.

La Conferenza episcopale prenderà misure forti in occasione della propria plenaria di novembre?
Quanto ci viene chiesto è un cambiamento in profondità e questo richiede del tempo. Poche settimane non possono bastare. Alla prossima Assemblea plenaria stabiliremo un calendario d’azione in modo da rendere pieno e concreto questo cambiamento, senza schivare nessun punto. Dovremo agire per tappe e in modo sistematico.

Alla plenaria di Lourdes si discuterà pure delle riparazioni?
È una questione molto importante che abbiamo già iniziato ad affrontare, proponendo una soluzione di risarcimento che non ha ricevuto un’approvazione dalla Ciase. Rivedremo dunque la nostra proposta. Dovremo individuare i modi per trovare del denaro, ben sapendo di non disporre di risorse infinite. Ciò richiederà del discernimento, ma non ci tireremo indietro.

Secondo la Ciase, i confessori non dovrebbero far valere il segreto della confessione rispetto agli abusi. Qual è la sua posizione?
Su questo punto, occorre una particolare disponibilità di tutti al dialogo. Spiegheremo ancora il valore del segreto della confessione, che non è mai stato messo in discussione dallo Stato francese. Rispettare questo segreto significa rispettare pure la dignità della coscienza di ciascuno. Inoltre, spiegheremo che la nostra Conferenza episcopale non rappresenta la totalità della Chiesa e che rispondiamo tutti al diritto canonico.

Presenterà questa posizione anche all’incontro di martedì con il ministro dell’Interno?
Sì, sarà un’occasione per ribadire che il segreto della confessione non è un modo per aggirare le leggi. Per dire pure che tale segreto può anzi rappresentare una prima occasione offerta anche alle vittime per liberare la loro parola.

Il giudice Édouard Durand, a capo della neonata commissione indipendente Ciivise sulla piaga degli incesti, ha dichiarato che «la scuola, lo sport, le altre religioni devono impegnarsi nello stesso processo di verità della Chiesa cattolica». Che cosa le ispirano queste parole?
Sono parole che indicano un percorso ragionevole per ritrovare assieme, come società, delle soluzioni e una volontà pienamente condivise. Tutti assieme, e non certo separatamente, dobbiamo mostrarci capaci di sconfiggere queste piaghe diffuse molto più di quanto fossimo disposti a credere, dentro la Chiesa così come in altre sfere sociali.

Molti fedeli restano sotto choc. Riusciranno davvero a leggere il rapporto?
La lettura sarà una prova per tutti. Ma più che mai abbiamo un dovere di vicinanza verso quanti hanno sofferto. Appropriarsi della verità su tali orrori è l’unica strada anche per poter manifestare una solidarietà reale verso le vittime. Pertanto invitiamo i fedeli a condividere il rapporto e a discuterne in ogni parrocchia.

Non solo in Francia, simili rivelazioni possono suscitare nei fedeli pure degli interrogativi spirituali…
Il dolore profondo e la vergogna sincera che proviamo di fronte a tali abissi di sofferenza inflitti all’interno della Chiesa possono e dovrebbero essere visti oggi anche come doni della misericordia del Signore. Provare fino in fondo tutto il peso delle proprie colpe deve divenire un passo verso il discernimento nella ricerca del bene. Solo così sarà possibile trovare la strada per offrire prove concrete di responsabilità. Tutto questo ci mette di fronte alla nostra piccolezza di uomini e al bisogno costante di affidare la nostra esistenza alla misericordia divina.

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