Silvestrini, anche tra i «lontani» cercatore di una scintilla di umanità

In un libro l'eredità del cardinale e della sua azione diplomatica. Una riflessione sulla sua opera a firma del cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali
October 19, 2023
Silvestrini, anche tra i «lontani» cercatore di una scintilla di umanità
Ansa | Il cardinale Achille Silvestrini a Roma nel 2010
Pubblichiamo un intervento del cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero delle Chiese orientali, contenuto nei libro «Il cardinale Achille Silvestrini. Dialogo e pace nello spirito di Helsinki», curato da Carlo Felice Casula e Pietro Sebastiani (Libreria Editrice Vaticana, pagine 368, euro 22), in libreria da ieri. Pubblicato nel centenario della nascita del porporato, per iniziativa dell’Associazione culturale Achille Silvestrini per il dialogo e la pace, il testo è composto dalle relazioni (di Giuseppe Conte, Pietro Parolin, Gennaro Acquaviva e Carlo Felice Casula) della conferenza «A 45 anni dagli Accordi di Helsinki. Il cardinale Silvestrini e la Ostpolitik vaticana», tenutasi a Roma il 14 settembre del 2020, e da una appendice con 10 documenti, tra i quali quelli inerenti la Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, le modifiche al Concordato Lateranense e la promozione delle Chiese orientali.
Il cardinale Achille Silvestrini, dal 1991 al 2000, è stato prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, dove collaborando con lui ho avuto il dono di poterlo frequentare quotidianamente e di riceverne altrettanto costanti insegnamenti.
Prima di illustrare il suo stile e i suoi interventi nell’espletamento di questo ministero richiamo alcune informazioni previe che riguardano la sua vita in generale e che possono in parte spiegare anche la sensibilità con cui resse il Dicastero.
Nato a Brisighella il 25 ottobre 1923, egli conservò sempre con la sua terra di origine un legame speciale ed essa ne plasmò il carattere e la sensibilità. Di particolare importanza il suo rapporto con la parrocchia, soprattutto negli anni difficili del fascismo. Gli studi classici prima della formazione seminaristica e la laurea presso l’Università di Bologna furono due altri momenti di spicco: lo maturarono nella passione per la storia che egli privilegiò per tutta la vita e in un dialogo con la cultura, franco e aperto, privo di complessi o di prevenute condanne. Questo, accanto alla giovialità del carattere, gli rese particolarmente facile il dialogo con personalità della politica e della cultura, ma anche con i suoi giovani universitari di Villa Nazareth, un’istituzione educativa fondata dal cardinale Domenico Tardini, che gli fu superiore in Segreteria di Stato e che lo volle a continuare la sua opera con i giovani.
Da questo nasce, infatti, il contatto istituzionale ma anche personale con quella cultura laica, che a lui si rivolse senza timore e senza preconcetti, per condividere valori umani molto alti. Chi lo conobbe a fondo sa bene che questi rapporti erano sostanziati sempre da quella radice evangelica che ne motivò l’intera esistenza, senza peraltro far pesare alcun elemento di settarismo o di clericalismo. La sua quotidiana presenza a Villa Nazareth, anche quando era stremato dal lavoro d’ufficio, fu uno degli stimoli a mantenere viva questa interiore libertà, nel voler seguire personalmente i giovani studenti e nell’orientarli ad un costante dialogo tra fede e cultura.
Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, fu accanto a tre cardinali Segretari di Stato, che lo stimarono e trovarono in lui un collaboratore intelligente e perspicace: Domenico Tardini, Amleto Giovanni Cicognani e Agostino Casaroli. Da quest’ultimo fu coinvolto nel tragico, estenuante ma caparbio cammino di sostegno ai cattolici dell’Est europeo nel periodo del regi me comunista. Non era estraneo, come si è visto, al suo atteggiamento naturale quello di trovare nella fede in Dio e nel servizio alla Chiesa la passione per tentare quello che era considerato da non pochi impossibile e persino temerario: una scintilla di umanità da poter valorizzare anche nel durissimo confronto con le dirigenze marxiste e atee, per ottenere anche solo un barlume di libertà in più a vantaggio dei cattolici, vessati, al pari di altre religioni e confessioni cristiane, da quello che fu l’approccio complesso, quasi sempre persecutorio e talora anche manipolatorio e strumentalizzante, dei dirigenti di partito nei confronti di quanti credevano in Dio.
Molto importante fu anche la sua presenza alla Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, nel 1975, dove grande rilevo ebbe il suo apporto nella solenne e condivisa affermazione della libertà religiosa, principio sacrosanto ma anche strumento che la Santa Sede esibì nei confronti dei poteri comunisti, i quali pure avevano sottoscritto il documento finale della Conferenza. [...]
Nel frattempo continuava la sua presenza in Segreteria di Stato, nella seconda Sezione oggi chiamata per i Rapporti con gli Stati, di cui divenne sottosegretario nel 1973 e segretario nel 1979, ricevendo l’ordinazione episcopale dalle mani di San Giovanni Paolo II. Importante anche il suo lavoro a capo della delegazione della Santa Sede per la revisione dei Patti Lateranensi con il Governo italiano, nel 1984. Nel 1988 fu creato cardinale e quindi nominato prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Nel 1991, come si è visto, fu nominato, sempre da san Giovanni Paolo II, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, incarico che ricoprì per nove anni, fino a che divennero operative le dimissioni, nell’anno 2000, date al Santo Padre al compimento del 75° anno di età.
Da quanto sin qui descritto si possono desumere anche i tratti che ispirarono il suo operato nel Dicastero. La passione per la cultura, ed in particolare per la storia, costituì anzitutto uno stimolo per lui ad approfondire la ricca e variegata identità delle Chiese d’Oriente, con cui era entrato in comunicazione, sia pur in modo indiretto, nei suoi precedenti incarichi. [...]
Dal momento che tutte queste Chiese, in particolare quelle in piena comunione con la Sede di Roma che erano affidate proprio alla cura del Dicastero, erano sottoposte a sofferenze immani nella loro storia recente e più remota, egli si pose come impegno primario – e in questo individuò in quel periodo di tempo il ruolo primario del successore di Pietro – quello di potenziare con queste Chiese un impegno di ricerca, fatta di preghiera e di studio, che coniugasse la propria diversificata e affascinante tradizione d’origine con il modo di vivere e testimoniare il Vangelo nelle circostanze del mondo contemporaneo.
In questo percorso non poteva mancare un cammino di ritrovata affinità con le corrispettive Chiese orientali ortodosse. Egli stesso si adoperò personalmente per incontrare, oltre ovviamente ai pastori delle Chiese orientali cattoliche, anche quelli disponibili delle Chiese ortodosse, instaurando una circolarità, prima poco conosciuta nel Dicastero e dopo di lui ancora ampiamente valorizzata, che aiutasse gli orientali cattolici e quelli ortodossi a percepire la sfida di un mondo sempre più secolarizzato e talvolta antireligioso, nel quale la comune testimonianza cristiana era non solo un impegno voluto dallo stesso Signore Gesù Cristo, ma anche una necessità perché i valori cristiani fossero conosciuti e, quanto più possibile, impregnassero le vite dei popoli.
Un segno ulteriore di questo sforzo non sempre facile di approfondimento culturale e spirituale dell’identità orientale fu, ad esempio, quello di collaborare alla stesura di strumenti magisteriali che fungessero da guida al clero, spesso appena emerso dalla persecuzione, per ripristinare non solo le strutture materiali, ma anche la coscienza vissuta del proprio apporto specifico all’universalità della Chiesa. Egualmente significativo l’impegno a riunire i gerarchi orientali cattolici in convegni divisi per area geografica, al fine di incontrarsi e di confrontarsi sulle ricchezze e le problematiche comuni. Diversa, ma ispirata allo stesso principio, fu l’iniziativa di invitare i membri orientali cattolici dei Sinodi dei vescovi indetti in Roma dal Santo Padre a riflettere insieme in Congregazione prima dell’inizio delle assemblee sinodali sul tema oggetto del Sinodo stesso, di volta in volta proposto, in modo da promuovere in modo più efficace e coordinato l’apporto delle Chiese orientali cattoliche e da ispirare gli interventi dei padri orientali cattolici secondo la propria specificità. Tale impegno risultò particolarmente proficuo durante il Sinodo sulla vita religiosa.
Se pensiamo che la provvidenza portò il cardinale a guidare il Dicastero proprio all’indomani della caduta del Muro di Berlino, si comprende anche – non dimenticando la sua personale esperienza di educatore – l’attenzione prioritaria e l’impegno da lui profuso nella formazione del clero orientale cattolico. Per l’Europa dell’Est in particolare si trattava di una vera e propria emergenza, dal momento che le strutture formative del clero erano state totalmente distrutte dai regimi atei. L’afflusso a Roma dei seminaristi orientali fu in quegli anni particolarmente massiccio. Proprio per coloro che sarebbero diventati i fautori della rinascita delle loro Chiese nella libertà acquisita, il cardinale Silvestrini non solo si mobilitò per raccogliere il denaro necessario a rinvigorire le strutture educative per le varie Chiese orientali a Roma e nei propri Paesi, ma formò un’apposita commissione per studiarne il percorso formativo e, addirittura, istituì un “anno integrativo”, in particolare per quanti si sarebbero poi iscritti alle università pontificie di Roma. In quell’anno tutti gli studenti orientali che iniziavano il loro percorso formativo impararono a conoscersi tra di loro, personalmente e anche nella diversità delle proprie tradizioni, ma approfondirono pure e condivisero, mediante l’apporto di alcuni tra i migliori docenti di discipline orientali, i tesori delle loro diverse esperienze teologiche e spirituali. Ciò, oltre che per la maturante esperienza personale, anche perché si rinsaldasse la coscienza della propria identità, in modo che essa rimanesse ben salda anche quando fossero entrati in contatto con la ratio studiorum delle varie università romane fondate, come era ben comprensibile, prevalentemente sull’esperienza culturale e teologica del mondo latino. Egualmente si adoperò per organizzare incontri per i rettori ed educatori dei seminari orientali cattolici, in particolare europei, per sostenerli nell’immane compito di ristrutturare le strutture formative del proprio clero in patria.
In questo suo impegno di scoperta e valorizzazione della chiamata divina a testimoniare la fede, nella valorizzazione delle legittime diversità, egli profuse ogni sforzo perché anche la Chiesa latina si dimostrasse sempre più attenta ai valori dell’Oriente cristiano e lo rispettasse soprattutto quando gli orientali, sospinti dal perdurare delle difficoltà, erano costretti ad emigrare in ambiente a prevalenza latina. Fu così che molte conferenze episcopali latine cominciarono a recarsi in Congregazione, soprattutto durante le visite ad limina Apostolorum, per uno stimolo ad uno “scambio di doni” con l’Oriente, ma anche per studiare il modo di garantire fattivo rispetto dell’identità specifica dei fedeli orientali affidati alle cure dell’episcopato latino, in mancanza di una gerarchia propria, ed alle conseguenze pratiche che ne derivavano.
Molto altro vi fu che non è possibile qui riassumere. Credo tuttavia che questi accenni possano in qualche modo delineare la specificità umana e cristiana del cardinale Silvestrini, sottolineando come i tratti del suo operare da prefetto della Congregazione per le Chiese orientali siano una felice sintesi del suo temperamento, con i doni ricevuti da Dio, come pure della sua esperienza del tutto singolare nel servizio della Chiesa e della Santa Sede.
cardinale, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali

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