Nicola Camporiondo: «Così ho scelto di raccontare Dio sul web a 16 anni»
È tra i più giovani influencer cattolici italiani e oggi studia alla Facoltà teologica del Triveneto. «Dopo la pandemia ho sentito la necessità di superare la solitudine»

Una bicicletta, una parrocchia e una decisione profondamente libera: così è iniziata la conversione di Nicola Camporiondo, il più giovane dei missionari digitali italiani che oggi racconta Dio sui social e lo studia nei banchi della Facoltà Teologica del Triveneto. «Sono nato nel 2005 in una famiglia credente e da sempre molto praticante, ho ricevuto tutti i sacramenti ma ho sempre vissuto la vita parrocchiale e spirituale in modo passivo e obbligato dalla famiglia, senza una reale volontà. Poi ho vissuto il periodo della pandemia e del lockdown, un tempo di sofferenza: mi sentivo molto solo». È da quella solitudine, da un senso di vuoto e disagio, che è nato qualcosa di radicalmente nuovo. «Un giorno dopo la pandemia, ho preso la mia bicicletta e sono andato in chiesa, e quello è stato il mio primo vero incontro con il Signore, perché è stato un incontro totalmente e pienamente voluto, non obbligato e nemmeno costretto». Quella pedalata verso la chiesa ha innescato un cambiamento profondo... Nicola ha cominciato a frequentare di nuovo la parrocchia, e si è accorto che mancava proprio quello che a lui era stato negato per tanto tempo: una presenza giovanile viva e autentica. Da qui la decisione di mettersi in gioco, usando i social per raccontare una fede vissuta e scelta.
Per Nicola, essere missionario digitale non è un’etichetta, ma una responsabilità incarnata: «Significa portare la propria esperienza di Dio anche in luoghi dove spesso di fede non si parla proprio, come i social. Significa testimoniare il Vangelo con il proprio esempio, la propria vita, facendo conoscere i lati di una fede che spesso viene vissuta in passività o che peggio, viene allontanata». La sua visione è limpida: evangelizzare significa anche sfidare gli stereotipi sulla Chiesa, renderla accessibile e vera, con le sue imperfezioni e il suo bisogno di comunità. «Significa liberare la Chiesa da tutti quei pregiudizi che dilagano nelle persone che da questa stessa Chiesa sono distanti, e far capire che Chiesa è innanzitutto una grande famiglia, e come tutte le famiglie anch’essa non è perfetta, ma necessita del contributo di ogni singolo battezzato». Nicola è però lucido nel riconoscere che non basta una buona connessione o un’ottima fotocamera: «Penso che sia necessario che un missionario digitale non si chiuda dentro il proprio schermo, ma è fondamentale che l’azione social sia sempre accompagnata da un’attività in presenza, vale a dire in parrocchia, nelle associazioni, in diocesi, che arricchisca il cammino personale. Per poter parlare di Dio agli altri bisogna innanzitutto viverlo dentro di sé nelle proprie esperienze quotidiane».
La sua scelta ha avuto un impatto forte anche su chi gli sta attorno. All’inizio, amici e familiari hanno faticato a capire, alcuni si sono allontanati, altri si sono riavvicinati. «Non sempre è stato facile per chi mi è attorno accettare la mia missione digitale, all’inizio ricordo c’è stato un momento di grande sgomento e incertezza, quando iniziai nel gennaio del 2021 eravamo davvero in pochi a parlare di fede sui social, e quindi il tutto risultava molto incompreso. Col tempo, sia amici che familiari, hanno avuto modo di conoscere, comprendere e accettare il mio lavoro social e appoggiarmi nelle mie scelte e decisioni».
La sua riflessione tocca anche il cuore di una delle domande più urgenti per la Chiesa di oggi: perché è così difficile parlare ai giovani di Dio? «È difficile parlare di fede e di Dio ai giovani (ma non solo) perché sono pieni di pregiudizi, quasi sempre derivati dal fatto di non aver mai conosciuto a fondo la fede che è stata trasmessa (spesso in modo discutibile) e perché non hanno mai provato ad andare oltre e a vivere gli ambienti ecclesiali. Oltre al fatto di sentirsi spesso pesci fuor d’acqua in un mondo sempre più distaccato ed ostile alla Chiesa, molti vengono spesso addirittura presi in giro per questo. È sempre più necessario rompere questi schemi mentali ricchi di negatività». Ma non c’è solo sfida, c’è anche speranza. Per Nicola, il digitale non è un fine, ma uno strumento potentissimo per raggiungere chi non entrerebbe mai in chiesa.
«Il mondo social, con una comunicazione equa, sana ed evangelica, può solo che aiutare. Aiuta a svecchiare e a far conoscere una Chiesa viva e più vicina alle esigenze dei giovani, aiuta a comprendere davvero l’universalità del messaggio del vangelo che abita davvero ogni frontiera della vita quotidiana.» La sua fede, oggi, corre sui binari di Instagram, TikTok e YouTube, ma nasce da una pedalata silenziosa, da un sì detto senza obbligo. E forse è proprio questa la forza che rende il suo annuncio credibile: parla da giovane che ha scelto di credere.
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