mercoledì 16 ottobre 2019
Il cardinale Pedro Barreto, vice-presidente di Repam: «L’Amazzonia non è solo un luogo geografico, è lo specchio del mondo»
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Ama i neologismi. E spesso li conia lui stesso. Come “diocidenza”: i fatti non si susseguono a casaccio, quali mere coincidenze, in essi si nasconde un progetto di Dio. È stata una “diocidenza”, ad esempio, a mettere sul cammino dell’allora 15enne Pedro Barreto – nato e cresciuto nel centro di Lima – due indigeni Awajun. «Attraverso quell’incontro ho scoperto la mia vocazione e ho deciso di entrare nella Compagnia di Gesù», racconta l’attuale arcivescovo di Huancayo e vice- presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). «Gli indios mi hanno evangelizzato. Mi hanno, cioè, fatto scoprire il vero significato del Vangelo. Proprio perché l’ho sperimentato so che non è facile accettare che gli indigeni abbiano qualcosa da insegnarci. È necessario convertire la propria mentalità per “amazzonizzarsi” ». Quest’ultimo è uno dei neologismi più usati dal cardinale Barreto, per cui l’attuale processo sinodale è una chiamata ad «amazzonizzare la Chiesa», nonché a «laudatosificare la società».

Che cosa significa «amazzonizzare la Chiesa»? Qualcuno teme che si voglia stravolgere il volto della Chiesa universale per imporle dei tratti amazzonici. È così?
No di certo. «Amazzonizzare la Chiesa » vuol dire far emergere con forza quanto è già presente nella sua Tradizione, oltre che nel dettato biblico. Come ci racconta la Genesi, all’essere umano è affidato il compito di custodire la Creazione, in quanto dono del Padre e presupposto della vita. In questo senso, papa Francesco e il Sinodo amazzonico non hanno inventato nulla. Sa chi è stato il primo a voler «amazzonizzare la Chiesa»?

Chi è stato?
Un italiano vissuto nel lontano XIII secolo: Francesco d’Assisi. Il “poverello” viveva e predicava l’amore verso tutte le creature e chiamava la terra sorella e madre. È stato lui il primo a esclamare «Laudato si’», non Francesco di Roma.

Il francescanesimo è, dunque, amazzonico?
È necessario comprendere un punto cruciale: l’Amazzonia non è solo una regione geografica. È una spiritualità. Un modo di vivere con l’altro, inteso come altro essere umano e altro natura.

Che cosa intende?
L’Amazzonia è un bioma, un organismo vivo in cui i singoli elementi naturali – terra, aria e acqua – sono interconnessi. Ma Amazzonia vuol dire anche diversità di razze, lingue e credenze. Per questo essa è uno specchio del mondo in cui la Chiesa è chiamata ad annunciare Cristo. Amazzonizzarsi per quest’ultima significa comprendere che la Grazia del Vangelo è rivolta all’umanità intera nella sua diversità sociale, cultura e anche religiosa. Solo così può essere davvero cattolica, cioè universale. La questione non è nuova.

Che cosa intende?
L’inculturazione – anche se non si chiamava così – fu il tema centrale del confronto tra Pietro e Paolo. Il primo sosteneva la necessità che i convertiti adottassero lo stile di vita ebraico. Per il secondo, invece, il Vangelo aveva la capacità di parlare ad ogni cultura. Quest’ultima è stata la posizione a cui, dopo un attento processo di discernimento, è giunto il Concilio di Gerusalemme.

Era necessario, allora, un Sinodo apposito?
La Chiesa aveva già acquisito la comprensione teorica. Il Sinodo sull’Amazzonia, però, ora, ci sta consentendo di farne esperienza pratica. È importante per aiutare la società a “laudatosificarsi”.

Che cosa significa?
Solo stabilendo relazioni di alleanza con il Creato e gli altri esseri umani avremo la possibilità di sopravvivere. O ci laudatosifichiamo o siamo destinati a soccombere. L’ecologia integrale è l’unico antidoto a questo modello disumanizzante che divora l’ambiente e le vite degli uomini.

Siamo giunti quasi alla metà dei lavori. Che primissimo bilancio possiamo farne?
Questo Sinodo è come il Rio delle Amazzoni. Esso nasce come un rigagnolo sulle Ande. Chilometro dopo chilometro aumenta di capienza grazie all’acqua che gli regalano gli oltre 1.100 affluenti. Gli ultimi di due anni di preparazione sono stati come questi ultimi. Ora siamo in piena navigazione nel Grande fiume: ci muoviamo trasportati dalla forza delle sue acque profonde che si fa più intensa giorno dopo giorno. Il clima del dibattito è sereno, libero e franco. Non ci sono fronti contrapposti ma persone che cercano di discernere insieme.

Come stanno vivendo il Sinodo i sedici rappresentanti dei popoli indigeni presenti in Aula?
Non sono intimiditi. Al contrario, parlano con chiarezza senza, però, utilizzare toni rivendicativi. È impossibile non notare, però, il loro entusiasmo di trovarsi vicino a papa Francesco: lo toccano, gli sorridono, si fanno benedire alcuni oggetti, felici di dimostrare il loro affetto e di ricevere quello del Santo Padre. Anche quest’ultimo si trova molto a suo agio con loro.

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