Viaggio nel pianeta oscuro, dove le famiglie sono lasciate sole

I malati in Italia sono 245mila. A curarli, h24, genitori fratelli e partner. Che lasciano il lavoro, sono a rischi povertà e si isolano per la vergogna. Il rapporto del Censis
January 30, 2018
Viaggio nel pianeta oscuro, dove le famiglie sono lasciate sole
Le voci, la confusione, la rabbia. Inizia piano, il male oscuro, e poi diventa padrone, finisce per spaccare il cervello. Significa proprio questo, schizofrenia. E succede a 245mila italiani. Curarsi si può, esistono farmaci efficaci e innovativi, come quelli “a lunga durata d’azione”: iniezioni che hanno la durata di 3 mesi, e prevedono solo 4 somministrazioni all’anno, risolvendo il problema di doversi ricordare quotidianamente di assumerli. Per questi pazienti, una vera svolta offerta dalla medicina negli ultimi anni.
Tutto il resto, però, è e resta complicatissimo. Per loro, e per chi se ne prende cura. Come per tutte le altre disabilità in Italia, soprattutto per quella mentale l’assistenza ai malati di schizofrenia pesa quasi per intero sulle spalle dei familiari. I dati sono allarmanti e a raccoglierli ha pensato il Censis, con un’indagine intitolata «Vivere con la schizofrenia: il punto di vista dei pazienti e dei loro caregiver» e realizzata su un campione di 160 pazienti con diagnosi di schizofrenia e 164 loro familiari. A occuparsi degli schizofrenici principalmente sono i genitori (54,8%), un fratello o una sorella (19,1%), il partner (11,5%) e il ricorso a personale esterno è limitato – complice la vergogna per la malattia – a poco meno dell’8% dei casi. L’impegno richiesto è tuttavia particolarmente gravoso e si divide tra ore dedicate all’assistenza (in media i caregiver dedicano a queste funzioni 12,3 ore della giornata) e alla sorveglianza (12,8 ore in media).
Ma c’è di più. Ci sono le sollecitazioni emotive e la fatica fisica legata all’attività di assistenza del malato, che determinano ricadute di diverso tipo. Così il 63% dei caregiver si sente fisicamente stanco, il 43,5% non dorme a sufficienza, il 23,2% è dovuto ricorrere a supporto psicologico.
E ancora, il 37,8% (quasi 4 caregiver su 10) ha modificato alcuni aspetti della propria vita lavorativa, con un impatto che per molti si è tradotto concretamente nell’abbassamento del proprio livello reddituale. In particolare: il 24,5% è andato in pensione anticipata, il 15,1% ha rinunciato alla ricerca di un lavoro e si è dedicato interamente all’assistenza del familiare. E ancora, la malattia infetta anche la coesione familiare: per il 57,6% dei caregiver le necessità di assistenza del malato hanno determinato malcontento tra i componenti del nucleo familiare, il 32,6% segnala frustrazione per non riuscire ad adempiere appieno ai propri doveri familiari e il 17,4% segnala un impatto anche sulla propria relazione di coppia.
A una situazione così drammatica si affianca l’isolamento sociale dei malati, su cui i dati sono altrettanto spietati. La schizofrenia si presenta in giovane età, tra i 15 e i 35 anni, e divora tutto: l’attività lavorativa (il 47,2% di chi lo aveva lo perde), la scuola (il 33,8% la lascia), gli affetti (l’80% dei pazienti non ha partner). Le conseguenze in termini personali sono poi drammatiche: a fronte del 59,7% che indica di aver ricevuto attestati di solidarietà da parte dei propri conoscenti, sono prevalenti le esperienze di frustrazione, disagio ed emarginazione (il 75,2% nasconde o non parla a nessuno della sua malattia, il 70,5% si sente discriminato, il 63,8% teme che i sintomi diventino evidenti in certe circostanze).
«Non è dunque un caso che le aspettative nei confronti del sistema dei servizi – spiega Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e salute del Censis – si focalizzino proprio sullo sviluppo dell’inserimento lavorativo e delle attività di socializzazione, per rendere possibile una convivenza con la patologia sempre più accettabile e meno penalizzante». Sconfortante anche il dato sul ritardo nelle diagnosi: poco più di un paziente su quattro ha ricevuto la diagnosi di schizofrenia alla prima visita (il 27,2%), mentre il 15,2% dopo oltre cinque controlli, il 12,6% dopo tre o quattro consulti medici, il 7,9% dopo il secondo incontro. Un percorso a ostacoli – da compiere senza risposte e soprattutto senza cure – che mediamente dura 3 anni.

«Noi, infermieri di nostro figlio a 80 anni»

Una foto di Franco Basaglia, lo psichiatra a cui si deve la famosa legge 180 del 1978 che ha imposto la chiusura dei manicomi e regolato il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo servizi di igiene mentale pubblici. L’intenzione della legge era quella di favorire terapie che non ledessero la dignità e la qualità di vita dei pazienti, che nei vecchi manicomi venivano spesso trattati con elettroshock e terapie farmacologiche decisamente invasive
Una foto di Franco Basaglia, lo psichiatra a cui si deve la famosa legge 180 del 1978 che ha imposto la chiusura dei manicomi e regolato il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo servizi di igiene mentale pubblici. L’intenzione della legge era quella di favorire terapie che non ledessero la dignità e la qualità di vita dei pazienti, che nei vecchi manicomi venivano spesso trattati con elettroshock e terapie farmacologiche decisamente invasive

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