Una mattina alla mensa dei frati: «Pane e abbracci per tutti»
I cappuccini di Bergamo distribuiscono circa 200 pasti al giorno: «I bisogni sono aumentati»

Non di solo pane vive l’uomo. Mette i brividi scoprirlo proprio in una mensa per i poveri, dove si fa la fila sopportando caldo, freddo e umiliazione pur di avere un pasto gratis. Un signore sui 60 anni porta il vassoio al tavolo, lo appoggia e si siede. Poi chiede a un volontario: «Posso avere un abbraccio, per favore?». Detto fatto, il gesto è servito. «Accade spesso – spiega Gianbattista, uno dei responsabili della mensa -. Chi viene qui cerca cibo, ma anche quel calore umano che raramente trova durante la sua giornata».
Alle 8.30 del mattino nella graziosa piazzetta davanti al convento dei frati cappuccini, a pochi passi dal centro di Bergamo, spuntano già i primi disoccupati e pensionati. Alcuni vagano inseguendo il primo sole, altri si siedono pazienti sul muretto.
Alle 10 le porte si aprono per la distribuzione di the caldo e merendine: nell’attesa si commenta la partita dell’Atalanta, gli africani in coda ascoltano incuriositi. Alle 11 i volontari cominciano a servire il pranzo. C’è cibo per tutti, ma tra gli ultimi vige una regola fissa: beati i primi. Capita perciò che qualcuno si innervosisca vedendosi superare dal furbetto di turno. «È una guerra tra poveri, la cosa peggiore» racconta Pasquale, 67 anni, da qualche tempo senza dimora. «Vengo qui perché non ho un lavoro e ho perso la casa. Da qualche tempo vivo sotto il cavalcavia di Boccaleone, il quartiere dove abitavo. Il dormitorio? Preferisco di no, c’è gente pericolosa. Certo, anche vivere in strada è rischioso. Ma non ho alternative». La presenza dei clochard è diventata ingombrante per chi abita attorno al convento dei Cappuccini. Da quando i bivacchi sono stati sgomberati alla stazione delle Autolinee, nel marzo scorso, molti si sono spostati qui. «Le lamentele? Le capisco. Ma vorrei vedere loro al nostro posto…» sussurra Pasquale. La sera sotto il porticato spuntano le tende: a fine ottobre erano almeno una decina, poi l’intervento del Comune ha ridotto i numeri. «Restano poche persone, che non accettano la nostra offerta di sistemarsi al coperto - spiega l’assessore al Welfare Marcella Messina –. Abbiamo aperto altri cinque appartamenti nell’ambito del programma “housing first”, ma è un’opportunità che non viene raccolta. A pesare sono anche le dipendenze, sempre più diffuse tra chi vive in strada. Per affrontare la questione serve però che tutti facciano la loro parte. La prefettura, visto che la città è attraversata da flussi di migranti economici, ma anche i Comuni limitrofi. Le criticità non possono pesare solo sul capoluogo».
I residenti hanno fondato un comitato per protestare contro il degrado che si incunea tra i palazzi eleganti. Eppure la mensa esiste da 60 anni, dunque il quartiere è abituato a veder convivere benessere e povertà. Gli stessi abitanti portano aiuti, offrono un caffè a chi chiede l’elemosina dopo la Messa. «Ma prima non era così – spiega Marco Cioce, presidente del comitato – l’utenza negli ultimi mesi è aumentata parecchio. Da 60 persone al giorno si è passati a più di 200. La mattina, quando porti i figli a scuola, ti trovi davanti gente che espleta i suoi bisogni in strada. La sera capita che le ragazzine vengano seguite e molestate. Bisogna trovare una soluzione, prima che qualcuno si faccia giustizia da solo».
Con l’inverno alle porte, la situazione potrebbe complicarsi ulteriormente. Ma dalla mensa i volontari – in tutto ne ruotano un centinaio - minimizzano. Ammettono che sì, la gente in coda è aumentata, ma sottolineano come la macchina della solidarietà sia attrezzata per gestire anche i grandi numeri. «Le proteste? Chi urla ha sempre ragione – commenta Graziella Carbone, che abita a due passi e da dieci anni coordina il servizio – dopo il pranzo puliamo la piazza, non restano rifiuti in giro. Vero, non ci sono bagni pubblici nei paraggi e quindi ci sono problemi igienici. Ogni tanto c’è chi litiga, a volte qualcuno sta male. Ma sono situazioni sporadiche». Mentre parla, un giovane si accascia nei bagni. I volontari si confrontano per capire se è il caso di chiamare la Croce Rossa, ma non serve perché piano piano si rialza. Intanto comincia la distribuzione dei pasti, ci sono anche gli studenti della scuola d’arte Fantoni a servire primi e secondi. Timidi sorrisi, un po’ di imbarazzo, poi i ragazzi si concentrano sul da farsi. «È una bella lezione di educazione civica sul campo» chiosa padre Mauro Bazzi, loro insegnante di religione, mentre li osserva affaccendarsi tra i tavoli. La generosità si impara, ma soprattutto si pratica in silenzio. Come fa Stefano, 67 anni, invalido civile. Ogni mattina scende da Città Alta con due sacchi pieni di pane e brioche, riempiti gratis da un panettiere. «Lo faccio da anni. Perché so bene cosa vuol dire avere bisogno d’aiuto. Tiro avanti con 600 euro di pensione, ma non mi lamento». Saluta, perché va di fretta. «Devo andare all’Asl, per l’esenzione. Per il resto, non ho molto da fare. Fino a domani, quando sarò ancora qui».
© riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Temi




