«Tuvalu addio»: i primi profughi climatici accolti dall'Australia

A seguito dell'accordo con Canberra è iniziato l'esodo dei primi 280 abitanti del gruppo di atolli in mezzo al Pacifico a rischio per l'innalzamento del mare
December 12, 2025
«Tuvalu addio»: i primi profughi climatici accolti dall'Australia
Il ministro degli esteri di Tuvalu, Simon Kofe, nel 2021 denunciò con un videomessaggio in acqua la situazione del paese alla Cop26: «We are sinking», disse. Stiamo affondando / ANSA
C’è Kitai Haulapi, un’autista di carrelli elevatori, la prima donna nell’isola, che andrà a Melbourne. Ma anche la dentista Masina Matolu, in arrivo a Darwin con la sua famiglia. E poi Manipua Puafolau, un pastore tirocinante, che ha scelto la cittadina agricola di Naracoorte, nell’Australia Meridionale, dove esiste già una comunità di isolani che da anni lavora nel settore primario. Sono alcuni dei primi migranti climatici provenienti dalla remota nazione insulare del Pacifico, Tuvalu, sbarcati in Australia, segnando un passaggio storico: per la prima volta un intero Stato avvia una migrazione pianificata non per ragioni economiche o politiche, ma per la sopravvivenza stessa del proprio territorio. Le isole, nove atolli appena affioranti tra l’Australia e le Hawaii, stanno letteralmente scomparendo sotto l’innalzamento del livello del mare, e la mobilità garantita dal nuovo visto climatico australiano è divenuta una delle poche vie d’uscita possibili.
Nella lingua locale di Tuvalu, c’è un termine, "falepili", con il quale si considerano i propri vicini come qualcuno della famiglia. Ed è la parola scelta, non a caso, per dare un nome al Falepili Union Treaty firmato nel 2023 tra Canberra e Funafuti, che, fra altre opportunità e misure, prevede ogni anno la concessione di 280 visti permanenti ai cittadini tuvaluani. Un numero limitato, pensato per evitare la fuga di cervelli che metterebbe rapidamente in ginocchio il fragile sistema amministrativo dell’arcipelago, ma comunque sufficiente a rappresentare oltre il 2,5% della popolazione. Non sorprende che alla prima selezione, chiusa nel luglio 2025, abbiano partecipato 8.750 persone, circa l’80% degli abitanti. Per garantire equità, i vincitori sono stati scelti tramite sorteggio. La ministra degli Esteri Penny Wong ha definito il programma un’offerta di «mobilità con dignità», sottolineando come i nuovi arrivati contribuiranno alla società australiana mentre, parallelamente, si costruiscono servizi di accoglienza a Melbourne, Adelaide e nel Queensland.
Un'immagine dall'alto dell’atollo principale di Tuvalu, Funafuti Una striscia di terra in mezzo al mare / Ansa
Un'immagine dall'alto dell’atollo principale di Tuvalu, Funafuti Una striscia di terra in mezzo al mare / Ansa
Tuvalu è il quarto Stato più piccolo del mondo, 26 chilometri quadrati complessivi e un’altitudine media di appena due metri sul livello del mare. Secondo uno studio internazionale guidato dal Sea Level Change Team della Nasa e pubblicato nel 2023, negli ultimi trent’anni l’acqua si è alzata di 15 centimetri. E il fenomeno accelera: entro il 2050 metà dell’atollo principale, Funafuti, dovrà affrontare allagamenti quotidiani; entro la fine del secolo, il 95% del territorio sarà sommerso durante l’alta marea. Qui la vita quotidiana è già un equilibrio precario: la capitale corre lungo un’unica lingua di terra, larga in alcuni punti appena venti metri. Da un lato la laguna, dall’altro l’oceano. Le mareggiate erodono le coste, l’acqua salata penetra nei terreni e mette a rischio le poche coltivazioni. I bambini giocano sulla pista dell’aeroporto, uno dei rari spazi aperti rimasti.
Nel 2021, alla COP-26 di Glasgow, l’ex ministro degli Esteri Simon Kofe aveva mostrato al mondo la drammaticità della situazione intervenendo immerso in mare fino alle ginocchia: «We are sinking», disse. Stiamo affondando. Il Falepili Union Treaty non è quindi soltanto un corridoio migratorio: è anche una mano tesa per il rafforzamento delle difese costiere, per l’adattamento climatico e per la salvaguardia delle istituzioni tuvaluane. Ma rappresenta anche un vantaggio strategico per Canberra, che ottiene un ruolo privilegiato nelle scelte di sicurezza e difesa dell’arcipelago in un’area del Pacifico sempre più contesa, soprattutto a causa dell’avanzata diplomatica della Cina.
Il premier australiano Anthony Albanese e il collega di Tuvalu, Kausea Natano, nel 2023 /Ansa
Il premier australiano Anthony Albanese e il collega di Tuvalu, Kausea Natano, nel 2023 /Ansa
Per Tuvalu, tuttavia, l’esodo non è una resa. Il Piano di Adattamento a Lungo Termine, sviluppato con il supporto dell’Onu, prevede la creazione di 3,6 chilometri quadrati di nuovo territorio rialzato, sistemi per la raccolta dell’acqua e la protezione delle infrastrutture vitali. I primi 7,8 ettari sono già stati completati. E mentre il mare avanza, Tuvalu prepara una seconda forma di sopravvivenza: diventare la prima “digital nation”. Una riforma costituzionale garantisce che lo Stato continuerà a esistere anche qualora il territorio fisico scomparisse del tutto. Si stanno sviluppando passaporti digitali, registri elettronici per la diaspora e un archivio culturale che conserva danza, lingua e artigianato. L’intero arcipelago è stato mappato in 3D per essere ricreato online, un luogo virtuale che i discendenti potranno visitare quando la terra reale non ci sarà più.
L’arrivo dei primi migranti climatici in Australia sancisce l’inizio di un processo che potrebbe, nel giro di pochi decenni, svuotare Tuvalu. Un esodo ordinato, accompagnato e inevitabile, che racconta al mondo come si sia arrivati a un punto di non ritorno. L'emergenza e la speranza. Con un desiderio innato di sopravvivere, anche per Tuvalu che rischia di affondare, con la terra che rimane, con la sua cultura, con la sua identità. Che continueranno a esistere con la sua gente. Anche in Australia.

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