Povertà educativa in aumento tra i ragazzi: cresce l'esclusione
Quasi metà degli adolescenti non legge libri né conosce i musei. Il 92% usa l'IA: «È sempre presente»

In Italia, crescere da adolescenti oggi significa trovarsi davanti a un bivio: da un lato, la tecnologia e l’intelligenza artificiale aprono mondi virtuali di connessione; dall’altro, molti giovani restano intrappolati in un vuoto culturale reale, segnato da disuguaglianze sociali che si radicano nelle differenze territoriali e nella povertà educativa. Il 26,1% dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni è a rischio povertà o esclusione sociale, secondo la XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a Rischio di Save the children. Ma dietro questa media nazionale si nascondono enormi disparità: nel Mezzogiorno la quota sale al 41,9%, mentre al Nord si attesta intorno al 15% e al Centro al 24,1%. Questo significa che molti adolescenti in certe regioni non solo vivono in famiglie con risorse scarse, ma si trovano tagliati fuori anche dall’ecosistema culturale.
La mancanza di spazio – fisico, sociale, culturale – si traduce in una povertà educativa che va oltre i conti in banca: è l’assenza di percorsi formativi, di opportunità extra-scolastiche, di comunità giovanili attive. In molte zone le scuole non dispongono di tempo pieno, i centri culturali sono pochi, i servizi pubblici per l’adolescenza sono frammentati. Non sorprende che molti ragazzi, pur avendo voglia di crescere, lamentino la mancanza di luoghi dove sentirsi “vivi”. Di fronte a queste barriere, Save the Children ha introdotto le doti educative con il progetto DOTi (“diritti e opportunità per tutti”), erogando oltre 2.500 borse per attività sportive, artistiche o culturali, un’azione concreta e mirata, ma ancora insufficiente rispetto al bisogno reale.
Eppure, anche dove la povertà sembra prevalere, molti adolescenti navigano con disinvoltura nell’universo digitale. Il 92,5% dei 15–19enni usa strumenti di intelligenza artificiale: chat-bot, traduttori, assistenti vocali. Nel dettaglio, il 68,3 % utilizza chatbot come ChatGPT, mentre il 9,3% dialoga con intelligenze artificiali “relazionali” (Character IA, Anima). Gli adulti, al confronto, sono molto indietro (solo il 46,7 % li usa). Non è solo un uso utilitaristico: il 41,8% dei ragazzi ha chiesto aiuto all’IA quando si sentiva triste o solo, e il 42,8% per consigli su scelte importanti come relazioni, scuola o lavoro. Per quasi la metà degli intervistati (49,1%) questi strumenti sono diventati fondamentali, e il 47,1% ritiene che usarli di più migliorerebbe la sua vita personale. Ciò che colpisce è il perché: il 28,8% apprezza che “è sempre disponibile”, il 14,5% che “mi capisce e mi tratta bene”, il 12,4% che “non mi giudica”. E in un mondo in cui gli adulti non sempre ascoltano, l’IA diventa un interlocutore stabile e (all’apparenza) neutrale.
Ma sotto questa apparente connessione tecnologica si nasconde un’inquietante fragilità emotiva. Solo il 49,6% degli adolescenti dichiara un buon benessere psicologico. Il divario di genere è enorme: appena il 34% delle ragazze afferma di avere un buon equilibrio psicologico, contro il 66% dei ragazzi, il gap più ampio rilevato tra i Paesi europei. Alcuni numeri raccontano di abbandoni interiori: il 9% degli adolescenti ha scelto di isolarsi per brevi periodi per problemi psicologici, e una quota significativa ha usato psicofarmaci senza prescrizione nell’ultimo anno (fino al 16,3% tra le ragazze). L’isolamento reale, poi, si mescola con quello digitale. Il 13 % degli adolescenti risponde a criteri di “iperconnessione” problematica, e il 38 % dichiara di guardare spesso il cellulare anche in presenza di amici o parenti, un fenomeno noto come phubbing. Il 27 % si sente nervoso quando non ha il telefono con sé.
Le relazioni non si fermano lì: il 47,1% dei 15–19enni ha subito cyberbullismo, il che dimostra quanto online possa essere anche un luogo di insicurezza. Altri comportamenti mostrano la complessità delle dinamiche amicali e affettive: il 30% ha fatto ghosting, ossia ha interrotto improvvisamente relazioni senza spiegazioni, e il 37% trascorre tempo su siti pornografici per adulti (con una netta differenza di genere: il 54,5% dei ragazzi contro il 19,1% delle ragazze).
Nel mondo offline, le disuguaglianze emergono chiaramente: solo metà degli adolescenti ha visitato musei o mostre nel 2024 (e nel Mezzogiorno questa percentuale è ancora più bassa). Il 21,2% non è mai stato al cinema, e il 46,2% non legge libri oltre quelli scolastici — una cifra più alta tra i ragazzi che tra le ragazze. In alcune regioni del Sud, l’assenza di strutture culturali rende la partecipazione a mostre, concerti o eventi un privilegio. Nemmeno lo sport è per tutti: il 18,1% degli adolescenti non svolge alcuna attività fisica, cifra che sale al 29,2% nel Mezzogiorno. È un fenomeno che si intreccia con la povertà educativa: meno risorse, meno opportunità, meno benessere fisico e mentale. Sul fronte della mobilità, meno della metà (47,6%) dei giovani fra i 15 e i 24 anni ha fatto almeno una gita o una vacanza di una notte nel 2024, in Italia o all’estero, contro percentuali molto più alte in altri Paesi europei. Questo dato, insieme ai divari culturali, racconta di adolescenti in molti casi “prigionieri” di un territorio che non offre sbocchi né esperienza.
Nel sistema di cura per la salute mentale la situazione è altrettanto problematica: i posti nei reparti di neuropsichiatria infantile e per adolescenti sono troppo pochi, con un totale rimasto poco sopra i 400 posti sul piano nazionale tra il 2019 e il 2023. Le regioni mostrano forti disuguaglianze: la Lombardia ha 97 posti, altre regioni nemmeno un reparto adeguato, e ciò significa che molti giovani a rischio non trovano cure vicino a casa.
Nonostante questa complessità, molti adolescenti continuano a sperare. Chiedono scuole che non siano solo aule, ma soprattutto comunità, spazi dove esprimersi, servizi accessibili, una cultura che non sia un lusso, ma un diritto. Chiedono che il Paese investa su di loro, in luoghi reali, non solo virtuali.
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