Pamela, uccisa dall'ex, e i segnali d'allarme che sono caduti nel vuoto
Un altro terribile femminicidio a Milano. Stefania Bartoccetti (Telefono Donna): «Le donne sono più consapevoli ma non basta. Bisogna che l'uomo impari cos'è il vero amore»

«È successo tutto molto velocemente, in pochi minuti», le parole di una vicina di casa di Pamela Genini – la 29enne uccisa ieri sera a Milano dal suo ex, il 52enne Gianluca Soncin – ribadiscono tragicamente un dato: quando lui è lì davanti a lei, con un arma in mano, spesso è già troppo tardi per salvare la vita di quella donna. Bisognava agire prima, quando lui la perseguitava e maltrattava. Bisognava evitare in tutti i modi che quelle avvisaglie venissero trascurate e arrivassero all’esito peggiore: quello del femminicidio.
La giovane imprenditrice modella è stata uccisa nell’appartamento in cui era andata a vivere da sola proprio per allontanarsi dall’uomo che aveva deciso di lasciare dopo una relazione di circa un anno e mezzo. Lui, imprenditore facoltoso che lavora nel commercio d’auto, non aveva accettato la scelta di lei: si era stancata di quell’uomo che tentava di isolarla dagli amici ed era diventato aggressivo, specie dopo che la donna, per un periodo, era tornata a vivere dai genitori, a Bergamo, e lui aveva minacciato di morte sia lei che loro.
Non è bastato andare via da Cervia, dove vivevano insieme, né avvisare un altro ex con il quale era rimasta in buoni rapporti. «Teso ho paura ha fatto doppione chiavi mi è entrato, non so che fare, chiama polizia», è il messaggio scritto in fretta da Pamela e mandato all’amico poco prima di morire. Lo stesso uomo era al telefono con lei mentre l’altro si intrufolava già nell’appartamento. «A un certo punto l’ho sentita gridare “aiuto, aiuto, aiuto” – ha spiegato –, dopo queste parole Pamela ha chiuso la telefonata». Non sono bastate neppure le chiamate alle forze dell’ordine, sia da parte dell’amico che dei vicini che hanno sentito le urla. Gianluca Soncin le ha inferto almeno una ventina di colpi con un coltello a serramanico a lama seghettata che aveva portato con sé, alcune anche mentre la polizia stava già per fare irruzione. Poi ha rivolto l’arma contro di sé: per le ferite riportate è stato ricoverato al Niguarda e dimesso già oggi. Le accuse nei suoi confronti sono omicidio pluriaggravato da premeditazione, crudeltà, futili motivi, legame affettivo e atti persecutori. Interrogato dalla pm Alessia Menegazzo si è avvalso della facoltà di non rispondere.
La vittima era spaventata dai suoi atteggiamenti aggressivi, ma l’idea di denunciarlo le ha fatto ancora più paura. A quanto emerso finora l’uomo avrebbe alle spalle un’altra storia di stalking risalente a molti anni fa, conclusasi senza denunce né conseguenze di alcun tipo. Di fronte all’ennesimo femminicidio – dall’inizio del 2025 all’8 ottobre secondo l’osservatorio di “Non Una di Meno“ in Italia sono stati almeno 70 – viene da chiedersi qual è stato l’ennesimo errore.
«Si deve denunciare, si deve pretendere di avere giustizia ma soprattutto, una volta che la donna denuncia, deve essere creduta. Bisogna che si lavori tutti insieme al fianco di queste donne, con sentenze forti, protezione e accompagnamento in modo che anche le altre poi trovino il coraggio di allontanarsi dal violento», commenta ad Avvenire Stefania Bartoccetti, fondatrice di Telefono Donna Italia, un’associazione che risponde 24 ore su 24 alle chiamate di aiuto, riceve anche le donne che arrivano all’ospedale Niguarda di Milano (dove ha sede) e, oltre ad avere case rifugio, accompagna le vittime di violenze con diversi servizi. Nel 2024 i loro centri antiviolenza hanno seguito complessivamente circa 600 donne: un numero molto più alto rispetto a 10 anni fa, quando erano un centinaio.
«La crescita di richieste d’aiuto è indice di una maggiore consapevolezza delle donne, ma anche di un aumento della violenza, a causa di rapporti basati sul possesso e dell’uso di stupefacenti che amplificano l’aggressività», spiega. Per Bartoccetti le donne ormai sanno cosa vogliono, ma il problema rimane: «Quando si accorgono di essere in una relazione tossica e provano a chiuderla si trovano di fronte un uomo che non accetta la sua libertà». Per questo, aggiunge, è giunto il momento di rivolgere l’attenzione non più solo su come aiutare e incoraggiare le donne, ma sul concetto di relazione incamerato dagli uomini: «Comunicatori, educatori, famiglie, istituzioni... dobbiamo lavorare tutti insieme affinché cambi questo punto di vista dell’uomo sulla donna come proprietà, insegnare ai maschi il rispetto dell’altra».
L’uomo del possesso si trova già in un “deserto”, ma se vogliamo che non siano più le donne a pagare perché sono rimasti lì da soli è fondamentale diffondere un messaggio univoco: «Che la donna non accetta più di essere iscritta in un modello dove l’uomo è il controllore, proprietario della sua vita, e l’uomo deve imparare cos’è il vero amore. Se non accetta la libertà della donna va condannato con sentenze adeguate».
Se hai bisogno di aiuto puoi chiamare da tutto il Paese a qualsiasi ora i numeri di Telefono Donna Italia, che offre supporto su tutto il territorio nazionale: 02.6444.3043 e 02.6444.3044
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