Quando non ci sono commesse, la domenica non è lavorativa. E allora i cattolici possono santificare la festa senza problemi. Ma se bisogna rispettare una scadenza, non ci sono festivi né orari di lavoro, si arriva a sgobbare anche 15 ore al giorno chiusi nel capannone. Persino la maternità viene considerata un ostacolo che costa il licenziamento. Una realtà di sfruttamento, quella della comunità cinese di Prato, dove ai lavoratori è vietato ammalarsi per non comprometttere il forsennato ritmo produttivo dei laboratori e della aziendine famigliari, che poi di notte si trasformano in refettori e dormitori, come usa in Cina. Il quadro lo descrive un testimone, uno dei frati minori che da alcuni anni hanno aperto una comunità nel cuore del quartiere cinese, il quale perciò vuole conservare l’anonimato. «Spesso – spiega il frate – a dare una mano a spedire ad esempio i colli concorrono i figli 14-15 enni che al ritorno da scuola, prima di fare i compiti, lavorano e in aggiunta fanno i lavori di casa». C’è poi un’irregolarità diffusa nei permessi di soggiorno, che spesso vengono rilasciati per lavoro part time, nella realtà un terzo dell’orario effettivo. Il resto è ovviamente pagato in nero. Una situazione che tutto sommato, nonostante gli interventi delle forze dell’ordine, perdura perché economicamente conviene anche alle aziende italiane o europee che si servono di questi fornitori. Non va poi sottovalutato il problema della barriera linguistica, per cui i lavoratori cinesi non conoscono i loro diritti, come l’assistenza sanitaria gratuita. «Senza contare – aggiunge il religioso – che una malattia più lunga del previsto può costare il licenziamento in questa situazione di illegalità. La salute può diventare fattore di emarginazione, specialmente per un irregolare. Del resto, la logica dell’imprenditore è rispettare in ogni caso i tempi di consegna per non perdere l’ordine, quindi non si ferma neppure davanti alla maternità. Il centro di aiuto alla vita pratese assieme alla Caritas diocesana sta accanto in tutti i modi a queste lavoratrici, in diversi casi donne sole, per far portare loro a termine la gravidanza».Non va, però, messa sotto accusa esclusivamente la solita, impenetrabile cultura cinese. «I vecchi pratesi spesso ripetono – conclude il frate - che i cinesi in fondo stanno facendo quello che facevano loro ai tempi del boom economico. Che avevano l’appartamento sopra il laboratorio famigliare e tutti dovevano lavorare per far rispettare i tempi di consegna».Le realtà ponte sono le scuole e la comunità cattolica cinese, che organizza incontri culturali, corsi di lingua italiana e il doposcuola per i bambini delle elementari e della medie in un centro alla parrocchia dell’Ascensione al Pino che è un progetto dell’otto per mille. E la diocesi continua a voler tenere aperta la porta, perché a Prato vive una delle comunità cinesi più grandi d’Europa e la sfida non si può perdere.