giovedì 4 agosto 2022
A una settimana dalla condanna del giovane che il 27 giugno uccise la 15enne, il padre presenta l'associazione che si occuperà di adolescenti, con doposcuola e sportello di ascolto
Chiara Gualzetti con i genitori

Chiara Gualzetti con i genitori - per gentile concessione

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Poco più di un anno fa – come è accaduto domenica mattina a Castenaso per Giulia e Alessia, le sorelle travolte da un treno – anche in un altro paesino della provincia di Bologna una ragazzina non è tornata più a casa. Si chiamava Chiara Gualzetti, aveva 15 anni appena: è morta in un parco di Monteveglio per mano di quello che credeva un amico, un coetaneo che l’ha colpita più volte col coltello, per poi infierire sul suo corpo esanime a calci. Senza fermarsi, senza pietà.

«Me lo ha chiesto un demone» aveva detto il giovane, dopo aver tentato di depistare le indagini. Pochi giorni fa per lui è arrivata la sentenza: sedici anni e quattro mesi. È stato ritenuto capace di intendere e volere da quattro diversi periti e non ha mai mostrato segni di pentimento. Ed è stata accolta la richiesta della procura. Vincenzo Gualzetti, il padre di Chiara, parla senza risparmiarsi mentre sta andando in ospedale dalla moglie, che non sta bene. La vita sembra davvero accanirsi contro questa famiglia. L’assassinio della figlia è «quanto di più innaturale possa accedere a un genitore» dice.

Come ha giudicato la sentenza?

Diciamo che, se anche l’assassino di mia figlia avesse ottenuto l’ergastolo, questo non avrebbe placato la rabbia e il dolore che io e mia moglie sentiamo per la perdita di nostra figlia. È una cosa atroce e inaccettabile per un genitore, nessuna pena potrebbe restituirci Chiara. Detto ciò, siamo soddisfatti che l’omicida abbia ottenuto il massimo della pena possibile per un minorenne. Ecco, proprio su questo punto ci stiamo battendo, insieme al nostro avvocato, Giovanni Annunziata, per cambiare le cose. Oggi essere minorenni nel momento in cui si compie un reato è di per sé un’attenuante. Che un ragazzo rompa il vetro di un’auto o che ammazzi qualcuno, non cambia nulla: avrà comunque una riduzione di un terzo della pena, per il solo fatto di essere minorenne. Noi vogliamo batterci perché l’obbligatorietà dell’attenuante della minore età diventi, invece, discrezionalità del giudice. Questa battaglia ci aiuta a dare un senso alla morte di nostra figlia.

Avete quindi trovato un senso alla morte di Chiara?

Noi siamo credenti e pensiamo che ogni morte ne abbia uno. Certo, è difficilissimo accettarlo per un genitore e si fa fatica a capire il disegno che c’è dietro a questo dolore, ma dobbiamo trovare un significato. Ora noi non lo vediamo, ma sappiamo che c’è un motivo più grande: non vogliamo che la sua morte sia stata vana e desideriamo che porti a un miglioramento sociale, a qualcosa di buono, per cui stiamo cercando di agire in questo senso.

Cosa state facendo per ricordare Chiara?

Prima di tutto abbiamo fondato un’Associazione, “L’Arco di Chiara”, che si occuperà di adolescenti. Doposcuola, sportello di ascolto, contrasto al bullismo, alla violenza: vorremmo proporre anche una sorta di patentino per l’uso di internet. E pensiamo anche ai genitori: fanno fatica a stare dietro ai figli. Sono impreparati, non riescono ad essere più presenti perché la società, oggi, impone loro di lavorare molto, di doversi preoccupare prima di tutto di mantenere la famiglia e resta poco tempo per stare coi figli. Quindi, i figli, li conoscono poco. Ci ha molto colpiti un fatto: durante le indagini hanno sequestrato diversi cellulari degli amici dell’assassino. Quando li hanno restituiti ai genitori, questi hanno detto: «Ci siamo resi conto di non conoscere affatto la vita dei nostri figli». D’altra parte, se i genitori sono civilmente responsabili delle azioni dei figli fino ai 18 anni, non lo sono penalmente dopo i 14: non ha senso. Vanno responsabilizzati, così come vanno responsabilizzati gli adolescenti.

Ritiene che non lo siano?

No, l’assassino di mia figlia ha ripetuto tante volte: «Tanto sono minorenne, non mi faranno niente ». È la stessa cosa che dicono i giovani teppisti delle baby-gang. Ma se a 14 anni possono prendere la patente per il motorino e guidare le minicar, che sono potenzialmente uno strumento molto pericoloso, non è possibile che, poi, non siano considerati responsabili delle conseguenze. Non possono essere considerati “grandi” solo quando fa comodo.

A suo avviso, i genitori dell’assassino, dunque, hanno delle responsabilità?

Sì, si stanno comportando male. Attraverso il loro legale, la madre è arrivata a chiedere una quinta perizia psichiatrica, nonostante le prime quattro avessero stabilito la perfetta capacità di intendere e volere del figlio. Hanno chiesto l’assoluzione, vogliono sostenere l’infermità mentale, che è stata sempre smentita. Non ci hanno nemmeno mai chiesto scusa, nessuna parola di conforto per noi, eppure Chiara la conoscevano da tre anni. Anche in questo caso è questione di responsabilità: il ragazzo aveva già dato qualche segnale a cui porre attenzione. Al loro posto, io penserei che è giusto, prima di tutto, che paghi la sua pena per quello che ha fatto. Stiamo costruendo, con l’aiuto delle istituzioni e delle forze dell’ordine, proprio un progetto di sostegno ai genitori degli adolescenti: secondo noi è una cosa fondamentale e ci aiuta ad andare avanti, a trovare uno scopo nel dolore per la morte di Chiara.

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