La democrazia americana sta scivolando verso l'autocrazia? La strategia di Trump
Lo stop ai dazi della Corte dell'appello e il ricorso sempre più frequenta di Trump alla Corte Suprema: come il presidente sta ampliando i suoi poteri per aggirare il Congresso

C’è un copione che sembra ripetersi ogni qualvolta la giustizia interferisce con le decisioni di Donald Trump: il ricorso del tycoon alla Corte Suprema, alla quale il presidente americano assegna una fiduciosa capacità di ribaltare le sentenze delle corti federali.
È accaduto anche con lo stop espresso da una corte d’appello circa la liceità dei dazi, confutando quell’Emergency Economic Powers Act (Ieepa) del 1977, che conferisce al presidente il potere di affrontare minacce "insolite e straordinarie" durante le emergenze nazionali. Ma imporre dazi, argomentano i giudici, non è contemplato da quella legge e non è nemmeno un’emergenza nazionale.
Puntualmente Trump chiama in causa i supremi giudici. Non senza qualche rischio, nonostante sei togati su nove – tre dei quali nominati dallo stesso Trump - siano di orientamento conservatore.
Se la Corte Suprema dovesse confermare l'illegalità dei dazi, il governo potrebbe essere costretto a rimborsare agli importatori miliardi di dollari già raccolti dalle imprese (si parla di oltre 160), con impatto enorme sul gettito accumulato. Ma non è l’unico caso: recentemente un giudice federale ha bloccato i tentativi dell'amministrazione Trump di estendere una procedura di espulsione accelerata per gli immigrati irregolari, stabilendo che l'applicazione estesa della norma crea «un rischio significativo che le persone che potrebbero avere diritto a rimanere negli Stati Uniti vengano invece espulse dal Paese». Un’altra battuta d’arresto per The Donald. E anche qui finirà per essere la Corte Suprema a dirimere la controversia. In filigrana tuttavia si scorge ben altro: al di là dei contenziosi aperti si snoda un autentico braccio di ferro fra la democrazia liberale e la spinta sempre più forte del presidente verso un potere autocratico se non assoluto.
Una torsione che Trump sta sistematicamente imponendo alla Balance of Power - quel bilanciamento dei poteri teorizzato da Montesquieu con la loro separazione tra legislativo, esecutivo e giudiziario in modo che possano controllarsi e bilanciarsi a vicenda attraverso un sistema di "pesi e contrappesi" – che va progressivamente indebolendo la struttura stessa della democrazia americana.
Certo, gli Stati guidati dai democratici – come ad esempio la California del governatore Gavin Newsom o lo stesso Stato di New York – restano ancora per l’amministrazione Trump una temibile linea Maginot, visto che promuovono politiche alternative, dall’immigrazione all’ambiente, a quelle della Casa Bianca. Ma è ormai più che scoperto l'uso del potere presidenziale per aggirare il Congresso, oltre ai tentativi di politicizzare il Dipartimento di Giustizia e altre agenzie governative, con nomine giudiziarie che riflettono più la lealtà politica che l'indipendenza. A parere di molti osservatori, l'esecutivo sta gradualmente ampliando il proprio potere a spese degli altri rami del governo.
Come scrive il Los Angeles Times: «Il pericolo non è una transizione immediata a un'autocrazia, ma un lento "scivolamento democratico" (democratic backsliding) in cui le istituzioni che proteggono le libertà e limitano il potere esecutivo si indeboliscono gradualmente, rendendo il sistema più vulnerabile».
Forse non è ancora scesa la notte sulla democrazia americana. Ma la straripante vittoria elettorale di The Donald sta cambiando antropologicamente la bussola della politica, tentando di trasformare il Paese in una società tecno-liberista, guidata da oligarchie miliardarie e onniscienti, crepuscolo di quell’idea di democrazia partecipativa che il preambolo della Costituzione americana con il suo “We the People” proclama orgogliosamente.
L’esergo che sta sotto la testata del Washington Post da sempre recita: Democracy dies in darkness. La democrazia muore nelle tenebre. Appunto. Peccato che l’editore del quotidiano che scoperchiò lo scandalo Watergate sia ora uno dei più disciplinati compagni di giochi dell’uomo di Mar-a-Lago.
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