sabato 12 giugno 2021
Fu Piero Badaloni, volto noto del Tg1 e di trasmissioni Rai di successo, a condurre da studio la diretta da Vermicino: 60 ore che lo hanno segnato per il resto della sua vita, non solo professionale
Piero Badaloni oggi

Piero Badaloni oggi - Fotogramma

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Fu Piero Badaloni, a lungo volto noto del Tg1 e di trasmissioni Rai di successo, a condurre da studio la diretta da Vermicino: 60 ore che lo hanno segnato per il resto della sua vita, non solo professionale.

Badaloni, in molto sostengono che con quella diretta dal pozzo di Vermicino iniziò una certa spettacolarizzazione della notizia. È così?
A mio avviso iniziò un po’ prima, con gli anni di piombo. Ricordo che ero appena entrato al Tg1 e mi mandarono ad occuparmi dell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio; mi chiesero di intervistare un parente della vittima e a me sembrava una cosa fuori luogo, mi sentivo a disagio. Ed evidentemente comunicai quel mio imbarazzo al citofono della famiglia Occorsio in maniera così convincente che scese comunque il figlio Eugenio, allora un ragazzo, e mi rese una testimonianza da brivido. Vent’anni dopo ritrovai quel ragazzo, nel frattempo diventato giornalista, a Bruxelles, dove io lavoravo e lui era inviato del Sole 24 Ore, e mi confermò che mi aveva dato quell’intervista perché aveva capito che non cercavo del sensazionalismo. Ecco, direi che tutto è cominciato con quella corsa assurda che imponeva di spettacolizzare la notizia, per vincere su una concorrenza che stava nascendo proprio allora.

Anche con Vermicino andò così?
All’epoca avevo 35 anni ed ero diventato padre e quindi cercai soprattutto di rispettare il dolore e la grande dignità di Franca, la mamma di Alfredino. Ma il problema si ripropose, forse in misura maggiore. Ricordo due episodi in maniera particolare: Franca stava chiedendo notizie ai vigili del fuoco sull’esito delle operazioni, era di spalle e un cameraman la prese brutalmente per farla girare a favore di telecamera; una cosa che condannai in diretta. Poi ricordo che, finito il mio turno di conduzione e ceduto il testimone al povero Massimo Valentini, andai a Vermicino in incognito per capire cosa stava accadendo; trovai diecimila persone, una cifra spaventosa che mi confermarono i vigili urbani chiamati a regolare il traffico, passavano perfino a vendere i panini e le bibite. Andai via inorridito.

E come si fa a non cadere in questa trappola del sensazionalismo quando si dà una notizia?
Mi rendo conto che non è facile, ma c’è un codice etico da rispettare. E poi bisogna evitare di andare oltre la partecipazione e la curiosità, altrimenti si scade nella morbosità. Penso che sia possibile farlo e che questo valga per la tv ma anche per i giornali.

Oggi poi siamo arrivati alla tv del dolore: ma davvero non c’è più spazio per quella tv garbata che lei faceva ad esempio con Uno Mattina?
Anche allora c’era la concorrenza, però riuscivamo a fare informazione senza speculazioni. Non sono affatto convinto che il dolore, la morbosità, siano i mezzi per fare più audience. Chi l’ha detto che certe trasmissioni propositive non piacciano al pubblico? Che i giornali che non strillano non vendono? Tutto questo chiama noi giornalisti a fare una riflessione che peraltro papa Francesco ci ha indicato molto bene: consumare le suole. Che vuol dire andare tra la gente.

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