mercoledì 8 agosto 2018
L'Europa è senz’anima? Se mai l’ha avuta, l’ha persa 23 anni fa nell'enclave musulmana nella Bosnia orientale, a pochi chilometri dalla Drina.
1995-Srebrenica strage di musulmani. L'Occidente chiude gli occhi
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L'Europa è senz’anima? Se mai l’ha avuta, l’ha persa 23 anni fa a Srebrenica, enclave musulmana nella Bosnia orientale, a pochi chilometri dalla Drina. Avvenire dà la notizia dell’inizio del massacro il 12 luglio 1995 (7mila musulmani trucidati dalle truppe serbo-bosniache): «L’Onu capitola, i serbi avanzano. Espugnata Srebrenica, l’enclave musulmana protetta». E i caschi blu olandesi che la dovevano proteggere? Avvenire parla di vana «resistenza», anche se poi sapremo che «resistenza» non ci fu. «Da Srebrenica migliaia di persone sono in fuga in preda al panico». Il primo commento, affidato a Elio Maraone, è particolarmente crudo: «La tragedia arriva al "dunque". Cioè al tempo delle soluzioni estreme, quelle che lasciano pochissimo spazio alla mediazione per spalancare la strada ai nudi fatti. Strada che per l’Occidente e in particolare per l’Europa si biforca, sostanzialmente, in due direzioni: il ritiro o l’aumentato impegno». Conclude Maraone: «La gente di Srebrenica si chiede, per bocca del premier musulmano Haris Silajdzic, se per caso essa sia stata condannata a morire, se sia stata venduta».

Netto il giudizio anche di Claudio Monici a pagina 3: «La capitolazione della città musulmana segna la sconfitta delle Nazioni Unite nella ex Jugoslavia (...). Dopo tre anni di assedio, sottoposta a pesantissimi attacchi, l’enclave musulmana era diventata un "campo di concentramento"», secondo la descrizione del portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Ron Redmond.

Che cosa stia accadendo con esattezza non si sa, non ci sono giornalisti né televisioni sul posto. Ma i racconti che filtrano sono inequivocabili. Il 13 luglio il titolo in prima pagina è forse il peggiore che ci si possa augurare: «Torna la pulizia etnica». A Srebrenica i serbi «hanno dato il via alla temuta operazione di "pulizia etnica" caricando donne, bambini e anziani su una quarantina di camion ma trattenendo gli uomini». Maurizio Blondet, nel suo commento, indica l’obiettivo reale dei serbi: «L’identificazione dei difensori di Srebrenica e la loro probabile esecuzione come "criminali di guerra". Il nome di Mladic è una garanzia del peggio». Una sorpresa? No: «Tutto ciò non era imprevedibile. Quella di Mladic è un’armata che da anni fa queste cose sotto gli occhi dell’Onu e dell’Occidente; che lo facessero anche a Srebrenica era questione di ore. Lo sapevano tutti. Noi giornalisti, gli ufficiali dell’Onu, le cancellerie d’Europa». La soluzione? Per Blondet una soltanto: «I serbi conoscono solo la forza, capiscono la forza, fidano nella forza, e solo la forza li può trattenere».

L’Occidente sa ma non fa nulla di davvero efficace. Il 14 luglio Beppe Del Colle commenta le affermazioni di Karadzic («Abbiamo il diritto di occupare tutte le zone protette, Sarajevo compresa») non nascondendo un brivido: «È dal 1939 che nessuno, in Europa, ha più osato parlare in questo modo. Ma non basta: esattamente come allora, il resto d’Europa tace». Allora nessuno voleva "morire per Danzica". Oggi, scrive Del Colle, «non prendiamoci in giro. Nessuno ha voglia di fare un guerra "vera" per la Bosnia». E se (15 luglio) «i serbi non si fermano, dopo Srebrenica scatta l’attacco finale a Zepa» (e nel mirino c’è già Goradze), scendono in campo il presidente Scalfaro («Non si può stare a guardare. Noi pensavamo che i tempi di Stalin e di Hitler si fossero chiusi e avessero insegnato al mondo molte cose») e l'Osservatore Romano, rilanciato da Avvenire: «Passività generalizzata e assenza di moralità internazionale».
In quei giorni Avvenire coinvolge molti personaggi autorevoli. Il 16 luglio Antonio Giorgi chiama Maria Antonietta Macciocchi: «Assistiamo in fotocopia a quanto facevano i nazisti 50 anni fa. Europa assente, distratta, impotente e complice. Stanno facendo a fette un popolo. Ma le nostre democrazie come reagiscono? Con la vigliaccheria». Lo stesso giorno a pagina 2 Ermanno Olmi e Mario Rigoni Stern firmano due inviti alla mobilitazione. Il 18 luglio Blondet intervista il filosofo francese André Glucksmann: «Solo il Papa e Chirac hanno visto giusto: Srebrenica è la disfatta morale dell’Occidente. La pagheremo». Blondet provoca: è una guerra civile, come decidere chi ha ragione e chi torto? «Una cosa è evidente: oggi, le guerre civili nel mondo sono guerre contro i civili. Condotte da bande armatissime contro gente disarmata, come in Ruanda, in Somalia, in Algeria. E sono guerre per essenza totalitarie, perché il loro scopo è espellere, sterminare, ridurre in schiavitù parti di popoli. L’Occidente deve chiedersi se accetta il trionfo dei totalitarismi locali, o se vuole resistergli».
La guerra terminerà tra novembre e dicembre con gli accordi di Dayton e la firma di Parigi. Il 23 novembre Giuliano Ragno traccerà questo mesto bilancio: «L’Onu si è indebolita, la Nato ha sfiorato la dissoluzione, l’Europa, una certa idea di Europa per la quale vale la pena di agire, si è ormai allontanata, e così, in Italia, ci sentiamo magari un po’ più abbandonati a noi stessi».



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