lunedì 24 giugno 2019
La Ong chiede "misure provvisorie" urgenti. Entro tre giorni la decisione sul ricorso e intanto interviene anche l'Unione Europea: «Pronti ad aiutare»
Sea Watch chiede intervento alla Corte europea per sbarcare i 42 a bordo
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La Corte europea dei diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa, con sede a Strasburgo, ha reso noto di aver ricevuto una richiesta di "misure provvisorie" da parte della Sea Watch 3 per chiedere all'Italia di consentire lo sbarco dei migranti. La Corte ha rivolto una serie di domande sia alla Sea Watch 3 che al governo italiano. Questi ultimi dovranno rispondere entro oggi pomeriggio. La Corte in base ai suoi regolamenti può chiedere all'Italia di adottare quelle che vengono definite "misure urgenti" e che "servono ad impedire serie e irrimediabili violazioni dei diritti umani".

Intanto, la disponibilità di 50 sindaci tedeschi a farsi carico dei 42 migranti ancora bloccati sulla Sea Watch potrebbe sbloccare lo stallo. Ma nel governo italiano ci sarebbero frizioni tra chi è disposto a farli sbarcare subito per affidarli poi alla Germania e chi invece deve difendere lo slogan dei porti chiusi, platealmente smentito dagli oltre 200 arrivi degli ultimi giorni, a cui si sommano altri centro migranti intercettati nel Triestino.

Sul tema è intervenuta anche l'Unione Europea, che chiede una «rapida soluzione della situazione a bordo». La portavoce della Commissione Europea, Natasha Bertaud, durante il briefing con la stampa a Bruxelles ha commentato «con favore il fatto che l'Italia abbia proceduto a sbarcare un certo numero di persone dalla Sea Watch 3 per ragioni di salute», ribadendo che la Commissione «continuerà a fare del suo meglio, quando le verrà richiesto, e ancora non ci sono arrivate richieste, per contribuire e sostenere qualsiasi sforzo di solidarietà, nell'ambito delle sue competenze».

Resta perciò al largo di Lampedusa la nave Sea Watch 3, sulla quale è in corso un braccio di ferro dopo che il Viminale ha vietato alla Ong lo sbarco in un porto italiano. Nella notte tra venerdì e sabato un uomo è stato evacuato a causa del «serio peggioramento delle sue condizioni di salute», come ha confermato la guardia costiera che ha eseguito l’operazione. I naufraghi sono a bordo da 10 giorni e fino ad ora sono stati fatti sbarcare in 11 perché particolarmente vulnerabili. «Il rispetto dell’interdizione all'ingresso determina un penoso stillicidio mentre non abbiamo indicazioni alternative», afferma Sea Watch.

E a confermare che in Libia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, i trafficanti lavorino a pieno regime, arrivano le parole dell’ammiraglio Gassim, portavoce della cosiddetta Guardia costiera di Tripoli. Quasi 200 migranti sono stati intercettati negli ultimi 4 giorni e riportati nelle prigioni governative. Cinque in tutto i barconi bloccati. Tutti i migranti, riferisce Gassim, sono africani, tranne 8 provenienti dal Bangladesh.

Restare in Libia non vuol dire rimanere al sicuro. Non solo a causa del conflitto e delle frequenti faide tra boss del traffico di persone. Negli ultimi 9 mesi almeno 22 migranti sono morti per malattie, probabilmente tubercolosi, nei soli centri di detenzione di Zintan e Gharyan, situati nel Gebel Nefusa, una regione montagnosa a sud di Tripoli. La situazione sanitaria è drammatica, spiegano dall’équipe di Medici Senza Frontiere (Msf). Per mesi, in alcuni casi addirittura per anni, centinaia di persone bisognose di protezione internazionale e registrate come rifugiati o richiedenti asilo dall’Acnur, sono state abbandonate in queste prigioni, di fatto senza alcuna vera assistenza. Quando Msf si è recata sul posto per la prima volta lo scorso maggio, circa 900 persone erano detenute a Zintan, di cui 700 in un capannone sovraffollato, con a malapena quattro servizi igienici funzionanti, accesso irregolare ad acqua non potabile e nessuna doccia. «Una catastrofe sanitaria», dichiara Julien Raickman, capomissione di Msf Libia.

Sempre sul fronte dell’immigrazione via mare è stata scortata in porto a Licata, in provincia di Agrigento, la "nave madre" che aveva trasportato 81 migranti a sud di Lampedusa. Dall’imbarcazione, un peschereccio, i migranti venivano trasbordati su barche più piccole per arrivare a terra. I sette membri dell’equipaggio sono stati fermati per l’identificazione e l’autorità giudiziaria valuterà la loro posizione. La polizia di Agrigento, sempre sabato, ha arrestato due tunisini, che avevano trasportato 43 migranti di origini sub-sahariane a bordo di un barchino in legno. Lo sbarco è avvenuto il 19 giugno a Lampedusa, il barchino è riuscito a giungere a terra senza essere intercettato. Le indagini hanno consentito di ricostruire le dinamiche della traversata, accertando che uno dei due fermati conduceva l’imbarcazione, mentre l’altro, con un dispositivo Gps, gli indicava la rotta: i due ora sono in carcere.
E con numeri consistenti è ripreso il flusso migratorio attraverso la rotta balcanica. In tutto il 2018 – secondo i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza – 446 stranieri irregolari erano stati rintracciati presso le zone del confine sloveno. Ma nel corso dei primi cinque mesi del 2019 i migranti irregolari in quell'area erano già 652, cui vanno aggiunti gli oltre 130 individuati finora a giugno. Quasi 800 persone in meno di sei mesi, già il doppio di tutto l’anno precedente. Della gran parte, però, si perdono le tracce. Da gennaio, infatti, 121 persone sono state trovate presso le zone di confine con l’Austria e nessuno di loro era stato identificato all'ingresso in Italia.

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