
L'incontro di papa Francesco, nel marzo 2014 con i parenti delle vittime della mafia assieme a don Luigi Ciotti, di Libera - Siciliani
Don Ciotti racconta quando lo invitò a Roma alla Giornata in ricordo delle vittime innocenti del crimine organizzato: «Disse parole meravigliose». E in Calabria sottolineò che i mafiosi «non sono in comunione con Dio, sono scomunicati» Papa Francesco e le mafie, tra scomunica e perdono, ricordando ai mafiosi che per loro c’è l’inferno, ma chiedendo anche, «in ginocchio», che si convertano. Parole forti e gesti forti del Pontefice venuto «dalla fine del Mondo», che non conosce le mafie ma che vuole conoscere per poi intervenire. Lo ricorda bene don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, diventato amico di Francesco. Era il 2014 e si stava preparando la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie che Libera organizza da 30 anni ogni 21 marzo. «Gli ho chiesto se se la sentiva di incontrare un migliaio di familiari di vittime delle mafie. Mi ha detto subito “io vengo”. E poi la sua onestà, la sua umiltà, quando mi diceva che di mafia sapeva poco: “mi mandi qualche appunto…”. E lui dirà poi delle parole meravigliose».
Perché il cardinale Bergoglio ha conosciuto bene la corruzione e non le mafie. «Un cristiano che lascia entrare dentro di sé la corruzione “spuzza”», dirà un anno dopo a Scampia, aggiungendo che «corruzione è una tentazione, uno scivolare verso gli affari facili, verso la delinquenza». Parla spesso della corruzione, delle tangenti, del «pane sporco » portato «a casa ai propri figli ». Ma impara presto cosa siano le mafie, fin da quel 20 marzo 2014, quando nella chiesa romana di San Gregorio VII incontra i familiari delle vittime dei clan. Entra in chiesa dando la mano a don Luigi, un sacerdote per tanto tempo criticato anche nella Chiesa. Indossa la stola di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994, ascolta a capo chino l’interminabile elenco di centinaia di nomi di vittime innocenti, ringrazia i familiari «per la vostra testimonianza, perché non vi siete chiusi». E poi, a sorpresa, si rivolge «ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro e potere insanguinato e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi». Parole dirette, quasi un colloquio tra il Papa e i mafiosi. Papa Francesco insiste.
Così il successivo 21 giugno, in Calabria, nella piana di Sibari, pronuncia parole definitive: « La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!». Parole che si concretizzano in fatti, in azione pastorale. Così papa Francesco istituisce un gruppo di lavoro, costituito da magistrati, teologi, vescovi, sacerdoti in prima linea. Indica anche alcuni esempi. Il 26 maggio 2013 in occasione della Beatificazione di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso da “cosa nostra” il 15 settembre 1993, lo definisce «un sacerdote esemplare. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo». Così come il 9 maggio 2021, in occasione della Beatificazione del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla “stidda” il 21 settembre 1990: «Come giudice integerrimo non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare, ma per redimere». Ancora una volta Giustizia e Misericordia si tengono per mano quando parla di mafia. Come il 15 settembre 2018 a Palermo, in occasione dei 25 anni dalla morte di don Puglisi. «Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore». E nuovamente si rivolge agli uomini e alle donne di mafia. «Ai mafiosi dico: cambiate, fratelli e sorelle! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi. Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo! Io dico a voi, mafiosi: se non fate questo, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte». Ma indica anche come contrastare le mafie: «Don Pino lo insegna, non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, ma seminava tanto bene. La sua sembrava una logica perdente, mentre pareva vincente la logica del portafoglio. Ma padre Pino aveva ragione: la logica del dio-denaro è sempre perdente… Chi ama, invece, ritrova se stesso e scopre quanto è bello aiutare, servire; trova la gioia dentro e il sorriso fuori».
È il sorriso col quale papa Francesco il 30 ottobre 2023 accoglie in Vaticano alcune decine di donne (e bambini) provenienti da famiglie mafiose che hanno scelto di cambiare vita. Protagoniste, coi loro figli, del progetto “Liberi di scegliere”, nato dalla collaborazione tra il Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, Libera e la Cei che lo sostiene economicamente. Francesco dice loro: «Benedico questa vostra scelta, e vi incoraggio ad andare avanti. Voi sapete che tra i discepoli di Gesù c’erano anche alcune donne: come del resto gli uomini, non erano persone perfette, non erano “angeliche”: erano donne provate dalla vita, a volte “contagiate” dal male. Pensiamo alla Maddalena. Con Lui hanno fatto il cammino della liberazione. È così: si diventa liberi non per magia, ma camminando con il Signore». È quella rinascita che rappresentano i beni confiscati alle mafie e il loro riutilizzo a fini sociali. Il 19 settembre 2024 per la prima volta se ne parla in Vaticano in un convegno organizzato da Libera e dall’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali. Nuovamente dal Papa vengono parole di speranza: «Il recupero dei beni non dovrebbe limitarsi ad un obiettivo di politica sicuritaria, ma ispirarsi alla riparazione e ricostruzione del bene comune». Così di fronte a una criminalità organizzata che «nella sua brutalità, attenta al bene comune, attacca milioni di uomini e donne che hanno il diritto di vivere la propria vita e di crescere i propri figli con dignità », bisogna «prestare attenzione sull’urgenza di recuperare il bene di tutte le persone, il bene comune, dove tutti contano e nessuno viene scartato. Senza perdere di vista le vittime e la comunità, considerando il diritto e la giustizia come pratica la cui missione è costruire un mondo migliore». L’ennesima attenzione di papa Francesco a un contrasto alle mafie che non è “anti”, ma “per”.