mercoledì 13 maggio 2020
Il segretario generale Guterres: crimini nelle carceri controllate dal ministero dell'Interno. Nel mirino anche le prigioni di “Bija”. L'appello: «Stop ai respingimenti»
TRIPOLI, MIGRANTI CATTURATI A TRIPOLI NEL 2016

TRIPOLI, MIGRANTI CATTURATI A TRIPOLI NEL 2016 - EPA/STRINGER

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Stavolta per Antonio Guterres è stato come fare i nomi. Nero su bianco, con un dossier al Consiglio di Sicurezza. La Corte penale dell’Aia lo ha già acquisito. Una plateale sconfessione verso chi persevera nei rapporti opachi con Tripoli: dai ministeri coinvolti nel traffico di persone agli esecutori degli stupri, fino a quei governi, come Italia e Malta, che tra memorandum e accordi segreti cooperano nei respingimenti illegali.

«La situazione dei migranti e dei rifugiati, compresi quelli detenuti nei centri di detenzione ufficiali, rimane fonte di grave preoccupazione». Nel rapporto del segretario generale è scritto che la missione Onu a Tripoli (Unsmil) «e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno continuato a ricevere segnalazioni di detenzione arbitraria o illegale, tortura, sparizioni forzate, sovraffollamento». Non solo nelle prigioni clandestine dei trafficanti, ma «nelle strutture di detenzione sotto il controllo del Ministero dell’Interno». Una chiamata in causa per l’apparato di Fathi Bashaga, il ministro degli Affari interni a cui sono affiliate diverse milizie. A conferma Guterres segnala come dal 15 gennaio al 5 maggio 2020 siano stati intercettati in mare 3.115 «tra migranti e rifugiati». Ma circa «1400 sono detenuti nelle prigioni sotto il controllo del ministero dell’Interno». Che fine hanno fatto tutti gli altri?

La risposta la suggerisce il dossier. Mesi fa, quando Avvenire rivelò la presenza del guardacoste e trafficante Abdurhaman al Milad in Italia nel 2017, il ministro Bashaga assicurò che quel Bija sarebbe stato arrestato e rimosso dal comando della Guardia costiera e del porto di Zawyah, il principale snodo di ogni contrabbando: esseri umani, petrolio, armi. Non solo Bija è rimasto al suo posto – e in questi giorni non manca di autopromuoversi divulgando immagini che lo vedono impegnato in battaglia –, ma attraverso la milizia al Nasr decide della vita e della morte di centinaia di internati. Guterres è chiaro: «L’Unsmil ha ricevuto notizie credibili circa il contrabbando e il traffico di richiedenti asilo e rifugiati nei centri di detenzione ufficiali di Abu Isa e al Nasr a Zawiyah». Si tratta proprio delle prigioni governative affidate alla milizia al Nasr.

Confermando anni di inchieste giornalistiche e denunce delle agenzie umanitarie, il segretario generale chiede di interrompere la cooperazione per la cattura dei migranti in mare: «La Libia non è un porto di sbarco sicuro». Nonostante questo Paesi come Italia, Malta e agenzie europee come Frontex, hanno intensificato il sostegno alla cosiddetta Guardia costiera libica a cui vengono segnalati i barconi da intercettare. «Donne e ragazze detenute nelle carceri e nei centri di detenzione hanno continuato a essere esposte alla violenza sessuale», si legge ancora. Una settimana fa era stara la Corte penale dell'Aia a elencare la medesima lista di imputazioni.

Il libero accesso ai campi di prigionia ufficiali resta precluso ai funzionari Onu. Tuttavia nelle ultime settimane gli osservatori «hanno potuto documentare otto casi di donne e ragazze che erano state stuprate da trafficanti e personale di sicurezza libico». La riprova della connessione diretta tra uomini delle istituzioni e contrabbandieri di vite umane.

Di ottenere giustizia nei tribunali locali non c’è speranza. Con il pretesto della pandemia «i casi penali sono stati rinviati», si legge nel rapporto. Solo una scusa: «I membri della Procura della Repubblica non erano disposti o non erano nelle condizioni di indagare, a causa della paura di ritorsioni da parte di gruppi armati».

C’è solo una cosa fare subito. Antonio Guterres lo dice senza girarci attorno: «Esorto gli Stati membri a rivedere le politiche a sostegno del ritorno di rifugiati e migranti in quel Paese».

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