venerdì 15 settembre 2023
Suor Carolina Iavazzo è stata fra le più strette collaboratrici di “3P” «I frutti del suo martirio si sono visti nel tempo, non solo nella sua Sicilia»
Suor Carolina Iavazzo

Suor Carolina Iavazzo - .

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«Padre Pino sicuramente ha fatto più da morto che da vivo, perché senza il martirio l’avremmo conosciuto solo noi di Brancaccio o di Palermo. Invece ora è conosciutissimo in tutto il mondo. Il sangue dei martiri semina sempre». Così riflette suor Carolina Iavazzo, concentrato esplosivo di allegria ed energia, fra le più strette collaboratrici del parroco di Brancaccio. Ma, aggiunge, «l’importante è non farne un “santino” da mettere nel portafoglio e portarselo dietro. Ma tenerlo come modello e come pungolo della coscienza ». Dopo la sua morte ha scelto la Calabria, fondando il Centro don Puglisi a Bosco Sant’Ippolito, tra Bovalino e San Luca. Doposcuola, laboratori, sport. Due suore e una decina di volontari che seguono circa 30 adolescenti. Proprio come a Brancaccio. «Sembra che il tempo si sia fermato. Ma i frutti del suo martirio si sono visti nel tempo, sia a Palermo che qua. Nelle persone, nel risveglio delle coscienze. Ti guardi indietro e dici “mamma mia, ne abbiamo fatto di cammino, ne sono passati di giovani, sperando di aver seminato bene”.

Ma ci vorrebbero più sacerdoti come lui. Oggi siamo in una povertà educativa paurosa come dimostrano i fatti di Palermo e di Caivano ». Suor Carolina è convinta che di fronte a questi fatti don Pino « farebbe soprattutto, ma direbbe anche. Di darci da fare, di smuovere i quartieri. Ci vogliono più educatori». Non punizioni più forti per i minori. E anche qui cita l’esempio del parroco di Brancaccio. «Faceva l’esatto contrario, apriva le sue porte a tutti. Cercava di lavorare sul territorio, con le famiglie, per accogliere i ragazzi, parlare loro, offrire alternative. Anche ai più difficili. Se non hanno un luogo dove incontrarsi, passare del tempo bello, è gravissimo. Don Pino creava alternative ». Non solo a Cosa nostra. Suor Carolina è molto critica su tante “assenze”. E spiega bene come lavorava Puglisi. «Era un’alternativa alla mafia, ma anche allo Stato che non c’era. In queste zone anche oggi lo Stato dovrebbe essere più presente, non solo con le forze dell’ordine, ma con educatori, sport. Dove c’è il deserto e il degrado non può attecchire la bellezza. Contro questo lottava e faceva, don Pino. Portava avanti la logica del Vangelo: cercare l’uomo fino in fondo, non fin quando ti fa comodo o fin quando puoi e poi quando vedi il pericolo scappi. Per vivere la logica del Vangelo si era messo di traverso alla mafia. Quello che lui chiedeva era proprio il contrario delle logiche di mafia. Voleva rompere tutto questo». Anche lei respinge l’etichetta di “prete antimafia”.

«Era un prete di strada che ha dato tutto a Dio, ma nella misura in cui ha dato tutto a Dio ha dato tutto all’uomo. E in questo binomio “Dio-uomo” è rimasto fedele a Dio e fedele all’uomo». C’è un velo di nostalgia nei ricordi di suor Carolina. «In questi anni mi è mancato il sostegno morale, l’appoggio sicuro. Era un prete di strada ma non improvvisava niente. Sapeva dove voleva arrivare, faceva delle scelte oculate e mirate. Aveva chiaro l’obiettivo: ripulire il quartiere. Manca questo sostegno che non sempre trovi negli altri, anche nella Chiesa che si dovrebbe ancor più rinnovare, seguendo il suo esempio, accanto ai giovani, alle famiglie». Ma manca anche «il suo sorriso, l’allegria, la gioia, gli scherzi. Era l’uomo della vita. Anche quando c’erano i problemi si stava bene perché lui sdrammatizzava. “Non ti preoccupare” diceva. Era la camomilla».

Così confessa di pensare «sempre a lui e sempre lo prego. So che lui è sempre al mio fianco». Un ultimo pensiero lo ha per i due killer Grigoli e Spatuzza che dicono di essere davvero pentiti. «Pentitismo e conversione sono due cose diverse. Ci si converte a Dio e agli altri. Dovrebbero dimostrarlo coi fatti. Cosa hanno fatto in questi trent’anni? Cosa hanno restituito alla società, a Brancaccio? Non bastano le parole. Bisogna darsi da fare per dire ho sbagliato e in qualche modo riparare, donando qualcosa, di tempo, di impegno. Questa è conversione»

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