sabato 3 novembre 2018
Si tratterebbe di persone consegnate oltre confine, poi affidate ai poliziotti croati. Quindi picchiati e portati in Serbia.
Il confine sloveno

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Trieste come Claviere? Dopo gli "abbandoni" di migranti in Piemonte da parte di gendarmi francesi, stavolta la denuncia riguarda una presunta prassi di «respingimenti a catena» sul versante balcanico. «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta di asilo, ma ci hanno rimandati in Slovenia», riferiscono due migranti pachistani in un articolo pubblicato ieri da La Stampa e Il Piccolo. Gli intervistati puntano il dito contro la Polizia italiana, raccontando che dal valico di Fernetti sono stati «caricati a forza nei furgoni» e mandati in Slovenia.

L’episodio sarebbe avvenuto di notte: «Era buio pesto. Si respirava a malapena da una piccola ventola piazzata in alto. Non c’erano finestre. Alcuni di noi vomitavano e poi c’era odore di sangue». I pachistani sostengono di esser stati «lasciati davanti a una casetta bassa, isolata, in mezzo al niente. Altri poliziotti sloveni sono venuti a prenderci su un altro furgone, ci hanno scaricati al confine con la Croazia».

A quel punto, prosegue il racconto, «abbiamo capito come sarebbe finita», i poliziotti croati «ci hanno fatto viaggiare più a lungo. Si sono fermati davanti a una foresta, hanno preso i nostri telefoni, uno a uno, e li hanno fracassati. Poi ci hanno picchiati sulla schiena con i manganelli... A me hanno spezzato due dita. Alla fine ci hanno indicato un sentiero nel bosco e ci hanno fatto segno di camminare. Così ci siamo ritrovati in Bosnia».

Secondo Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano di solidarietà, si tratta di «respingimenti a catena», restituzioni «illegittime in totale violazione delle direttive europee, del regolamento di Dublino e delle leggi italiane». Schiavone afferma di avere «diverse testimonianze che confermano questa nuova prassi. I migranti vengono abbandonati nei boschi, come dei banditi» e «la cosa più sconcertante è che tutte le polizie coinvolte sanno benissimo di muoversi al di fuori della legge».

Una ricostruzione smentita dal ministero dell’Interno, che affida a una nota della questura di Trieste il compito di confutare le notizie «relative a presunte condotte illegittime operate da personale della Polizia di Stato in ambito di rimpatri di cittadini stranieri al confine con la Slovenia». Nella nota, si fa presente che il trasferimento dei migranti rintracciati irregolarmente sul territorio italiano avviene «nel rispetto della procedura di riammissione prevista nell’accordo bilaterale firmato dalle autorità italiane e slovene».

I migranti riammessi sono quelli che hanno espresso al personale della Polizia «la volontà di non richiedere asilo politico». Inoltre, i minori e i malati non vengono riammessi, ma «affidati a strutture di accoglienza italiane». Sul piano pratico, dice la nota, gli stranieri vengono accompagnati dagli agenti italiani e consegnati presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek). La Polizia di Frontiera di Fernetti «non ha in dotazione furgoni privi di finestrini», ma solo mezzi coi colori della Ps, e i migranti «non vengono riammessi dopo le 16» e nessuno di loro «viene trattenuto in ore serali o notturne». In ogni caso, conclude la Questura, tutte le procedure vengono messe a verbale, anche alla presenza di mediatori culturali.

Di "respingimenti a catena" non ha avuto sentore don Alessandro Amodeo, direttore della Caritas triestina, in prima linea nell’accoglienza sul territorio: «È la prima volta che apprendiamo di situazioni simili – spiega ad Avvenire –, noi operiamo sul territorio e non ne abbiamo notizia. Peraltro, debbo riconoscere che c’è una buona collaborazione fra la Polizia e chi, come noi, opera sul fronte della solidarietà ai migranti».

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