venerdì 10 novembre 2017
Molte persone all'arrivo dei soccorritori, erano già annegate e altre si sono buttate in mare per non essere riportate in Libia. L'ipotesi è che la Guardia costiera libica abbia ostacolato i soccorsi
Foto Lisa Hoffmann / Sea-Watch

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Altre 50 vittime, forse di più, in quel tratto di mare che i libici, equipaggiati e addestrati dall’Italia, chiedono di poter presidiare da soli, ma che nelle ultime settimane ha registrato terribili naufragi. L’ultimo tra quelli noti si è verificato a circa 30 miglia dalle coste. La conferma arriva dalla polizia di Ragusa che a Pozzallo, dove sono sbarcati i superstiti, ha sentito i 59 sopravvissuti soccorsi dall’organizzazione non governativa Sea Watch.

La nave dei volontari trasportava anche le salme di cinque migranti, tra cui tre uomini, una donna e un bimbo di due anni mezzo. Una trentina, invece, sarebbe stata presa in carico dalla Guardia costiera libica, da cui non giungono conferme ufficiali. I racconti dei migranti, concordanti tra loro, permettono di stabilire che dopo aver pagato 400 dollari, in 145 sono stati fatti partire dai trafficanti.

Dopo essere stati messi in mare a bordo di un gommone i migranti hanno compreso che di lì a poco sarebbero stati in serio pericolo, non appena il natante sovraccarico ha iniziato ad imbarcare acqua. Pochi minuti dopo il gommone era semisommerso ed è stato avvistato da un elicottero della Marina italiana che ha lanciato l’allarme.

Sul posto per i soccorsi sono arrivate inizialmente due imbarcazioni, la motovedetta libica e la nave Sea Watch. Molti migranti, all’arrivo dei soccorritori, erano già annegati, mentre i superstiti sono stati issati a bordo dai soccorritori. Sea Watch è riuscita a raccoglierne 59 tra cui il cadavere di un bambino di 2 anni e mezzo, figlio di una superstite. «Il natante era compromesso. Dalle prime ore del mattino quando abbiamo avuto la chiamata dal Centro di coordinamento di Roma – spiega Lisa Hoffman, che a bordo di Sea Watch coordina le comunicazioni –. Sul posto c’era anche una nave militare francese e un elicottero italiano. Erano stati avvisati insieme a noi per l’operazione».

Da Roma non era arrivato nessun accenno alla presenza di motovedette di Tripoli. «Ma una volta nell’area è arrivata la Guardia costiera libica verso di noi e sono tornati indietro. Con la cooperazione di tutti, abbiamo localizzato l’area con il binocolo e localizzato il gommone. Quando siamo arrivati c’era già un elicottero militare che ci indicava dove si trovava il gommone. Alle spalle del gommone si scorgeva la nave francese».

D’improvviso è apparsa di nuovo la Guardia costiera libica e così per i migranti si è aperta la peggiore delle lotterie: venire salvati dai libici significa tornare nell’inferno da cui scappavano, finire tra le braccia dei volontari o a bordo di un mezzo europeo vuol dire poter raggiungere l’Italia e scongiurare il respingimento in mare. «Siamo arrivati quasi nello stesso tempo con la nave della guarda costiera libica – spiega Lisa Hoffman – e c’erano già moltissime persone e molti corpi senza vita in acqua. La Guardia costiera libica aveva giubbotti di salvataggio ed equipaggiamento, ma non li ha gettati alle persone in acqua. Noi quindi abbiamo usato i nostri per mettere in salvo più gente possibile».

Il video girato dalla Ong tedesca in mare

A prima vista il gommone sembrava «rotto nella parte posteriore, aveva perso il motore e stava imbarcando acqua da dietro, così le persone hanno iniziato a scivolare giù», aggiungono da Sea Watch. Alcuni scampati al mare hanno raccontato che poco prima 4 o 5 ragazzini e due bambini piccoli erano caduti in acqua senza più riemergere. Appena due giorni fa il procuratore capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, davanti al consiglio di sicurezza dell’Onu aveva rinnovato le accuse alle milizie libiche che si stanno macchiando di gravi crimini contro l’umanità. Tra queste alcune direttamente coinvolte nel traffico di migranti. Bensouda non ha nascosto gli abusi subiti dai migranti, spesso vittime di detenzioni illegali e torture. Una questione sollevata, in mezzo alle tante altre affrontate, anche dall’Alto Commissario per i rifugiati, Filippo Grandi. A questo proposito, durante il Consiglio di Sicurezza alcuni Stati membri, a cominciare dalla Svezia, hanno chiesto alla comunità internazionale di lavorare per garantire pieno accesso alle organizzazioni umanitarie, e in particolare chiesto proprio alla Corte penale internazionale di focalizzare le investigazioni anche sui crimini connessi con il traffico di esseri umani.


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