lunedì 8 giugno 2020
Un documento informale, presentato con Cipro, Grecia, Malta e Spagna, sulla riforma del regolamento di Dublino sull’asilo. Contrari i Visegrad
Un barcone carico di migranti nel Mediterraneo

Un barcone carico di migranti nel Mediterraneo - Ansa/Guardia costiera Malta

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Dopo l’approdo dei 400 migranti a Malta, cresce la tensione sulla spinosa questione della redistribuzione, un tormentone che continua a bloccare la riforma del regolamento di Dublino sull’asilo. «Le circostanze sono state molto difficili – ha dichiarato un portavoce della Commissione Europea – e siamo sollevati che lo sbarco sia avvenuto». Ora «stiamo coordinando sforzi di ricollocamenti per le persone coinvolte». Già nei giorni scorsi Bruxelles aveva lanciato un appello a Paesi volenterosi disponibili ad accogliere i migranti, a ieri si registravano tre Stati pronti a farlo. «Incoraggiamo altri a dimostrare il loro sostegno» ha aggiunto il portavoce, esortando a «più cooperazione e solidarietà tra Stati membri». L’occasione, ancora una volta, per la Commissione di ribadire l’esigenza di una soluzione organica al problema.

Il problema è che le posizioni sul fronte dei ricollocamenti obbligatori restano lontanissime. E questo – oltre all’emergenza coronavirus – spiega perché la Commissione continui a rinviare la presentazione del pacchetto migrazione che era stato inizialmente promesso prima a marzo, poi subito dopo Pasqua. Adesso si parla di «entro fine giugno», ma non è affatto scontato visti oltretutto gli altrettanto ardui negoziati in corso sul Piano di ripresa. La Germania, che dal primo luglio avrà la presidenza di turno dell’Ue, chiede la redistribuzione obbligatoria. E lo stesso hanno fatto (Avvenire lo ha riferito) venerdì scorso l’Italia con Cipro, Grecia, Malta e Spagna in un documento informale sulla riforma del regolamento di Dublino sull’asilo, chiedendo di «introdurre un meccanismo di ricollocamenti obbligatori, che preveda la distribuzione tra tutti gli Stati membri» di migranti che «entrano nel territorio di uno Stato membro incluso come risultato di operazioni di ricerca e soccorso».

Il tutto tenendo conto della «specificità della gestione delle frontiere marittime». La Commissione punta anch’essa a una redistribuzione obbligatoria, come ha ribadito giorni fa la commissaria agli Affari Interni, Ylva Johansson. «Credo – ha dichiarato – sia possibile trovare un compromesso che sia abbastanza forte sul meccanismo obbligatorio di solidarietà. Questo significa che devono essere fatti ricollocamenti dai Paesi di primo ingresso nell’Unione, ed è possibile farlo in una maniera che sia accettabile sia da questi ultimi che dagli altri Paesi». «Sulle quote europee – ha dichiarato ieri il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola – c’è una trattativa in corso che è nata nel periodo pre-Covid e l’obiettivo è quello di arrivare a un sistema europeo sicuro nel controllo dei confini. Noi la trattativa la spingiamo molto perché è tempo di ragionare non più su base volontaristica. Serve un sistema sicuro e coordinato. Dalle parole si arriverà ai fatti».

Intanto però il fronte anti-redistribuzione anziché affievolirsi si sta rafforzando, complice l’arrivo di governo della destra nazionalista in Slovenia ed Estonia. Solo pochi giorni fa hanno scritto una lettera a Johansson e al vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, i ministri dell’Interno dei Paesi Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria), nonché Estonia, Lettonia e Slovenia esprimendo, ha riferito il ministero polacco dell’Interno, «forti obiezioni a una redistribuzione obbligatoria in qualsiasi forma», chiedendo piuttosto «il rafforzamento delle frontiere estere dell’Ue e l’elaborazione di soluzioni per situazioni di crisi che consentano una reazione elastica». Un accordo, ha commentato Johansson, sarà «un compito molto difficile, ma dal mio punto di vista è possibile». La quadra spetterà alla fine a Berlino.
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