venerdì 13 dicembre 2019
Un anno fa moriva in un vile attentato a Strasburgo il giovane reporter che raccontava l’Europa Il suo parroco: fu la tragedia di una comunità, dalla famiglia la prova di una grande dignità umana
Antonio Megalizzi,  il giornalista italiano di Europhonica ucciso un anno fa

Antonio Megalizzi, il giornalista italiano di Europhonica ucciso un anno fa

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Un anno fa nella parrocchia di Cristo Re una città intera si era raccolta spontaneamente per tre lunghe giornate a pregare 'a oltranza', a chiedere il miracolo. E poi aveva accolto sul sagrato la bara rivestita di tricolore con la salma del 29enne Antonio Megalizzi, spirato tre giorni dopo il vile attentato dell’11 dicembre ai mercatini di Natale di Strasburgo.

Ancora qui, nella chiesa vicina alla stazione dove lavora il padre Domenico Megalizzi, ferroviere di origini calabresi, domani alle 18 la comunità di Trento si ritrova in silenzio nella Messa del primo anniversario. Sarà presieduta dall’arcivescovo Lauro Tisi che nell’omelia funebre in cattedrale aveva parlato del giovane europeista, laureando di studi internazionali, come di «un pezzo di cielo che è sceso in terra ed ora vi fa ritorno». Per i colleghi del circuito delle radio universitarie era 'Antonio, l’europeo', per gli amici era semplicemente 'il Mega, e aveva l’asterisco delle persone spe- ciali', come hanno detto al funerale davanti al presidente Mattarella e al premier Conte. Il primo anno senza Antonio ha segnato e fatto maturare anche la comunità di Cristo Re, guidata dal parroco don Mauro Leonardelli.

«Se ripenso a quei giorni, ritrovo l’importanza di affidarsi a Dio e alla sua Parola per trovare forza e la capacità di fare le scelte opportune», ricorda a proposito dell’alternarsi di sentimenti – speranza, paura, fiducia, attesa – che irrompevano in quei giorni. Era lui a tenere i contatti con Strasburgo con mamma Annamaria, mentre Antonio era in rianimazione. «In quei giorni mi colpì quel radunarsi in chiesa spontaneo di tantissima gente – ricorda il parroco – per far sentire a distanza la vicinanza ai familiari, nella convinzione che non si poteva fare tanto, ma continuare a pregare sì».

A quell’assemblea spontanea di tanti laici e giovani si uni più volte l’arcivescovo («era la tragedia di una comunità ben più grande della nostra» dice don Mauro), che pure in questi mesi ha più volte indicato l’esempio di umanità e fede di mamma Annamaria, catechista da anni in parrocchia, del marito Mimmo, della sorella Federica e di Luana, fidanzata di Antonio. «Ci hanno dato prova di una grande dignità umana nella sofferenza e anche nella giusta richiesta di rispetto del loro dolore» ribadisce don Mauro, che aveva filtrato le attenzioni dei media.

Ora aggiunge: «In quei giorni ho visto in questa famiglia molto unita soprattutto un abbandono alla fede, nel rispetto dei tempi di ognuno. Mai, ma davvero mai, ho sentito sulla bocca dei familiari di Antonio una parola di rivalsa o di odio. Cercavano sempre di mettere in evidenza il positivo. Cioè quello che Antonio voleva, ovvero il dialogo, un’Europa più vivibile, la forza delle idee, l’entusiasmo dei giovani».

Varie realtà pubbliche e private in questi mesi si sono unite a costituire la Fondazione Antonio Megalizzi, in cui la famiglia avrà un ruolo determinante. «La Fondazione organizzerà attività ed eventi – hanno spiegato i genitori sul notiziario parrocchiale di Cristo Re – che permettano a giovani e meno giovani di essere informati sulla nostra realtà, sulla comunicazione e sulle tematiche europee e di integrazione. Contro l’odio e la disinformazione». Torna in mente quello che è stato definito il testamento spirituale di Antonio («Il tempo è troppo prezioso per passarlo da soli.

La vita troppo breve per non donarla a chi ami. Il cielo troppo azzurro per guardarlo senza nessuno a fianco») e che gli amici hanno ripreso al funerale, impegnandosi a «dare gambe alle sue idee» sulle note dell’Inno all’Europa. Questo sguardo comunque positivo sulla vita è l’altra evidenza a cui don Mauro tiene. «Che bellezza in questi giovani! Bellezza nel vero senso della parola. Perché pur nel dolore e nella vicinanza ad Antonio e all’amico Bartek (il compagno polacco pure rimasto vittima dell’attentato, ndr) hanno espresso subito la voglia di andare avanti. E anche da quella tragedia è emerso per tutti il positivo, una luce di speranza».

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