venerdì 22 marzo 2024
Ieo, Ifom e Humanitas di Milano svelano meccanismi chiave all'origine del “big killer” che ha un tasso di sopravvivenza, a 10 anni, uguale a quello degli anni '70. «Così cambieranno le terapie»
Tumore del pancreas, ecco perché le cure (per 50 anni) sono state inefficaci
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È solo un punto di partenza, tengono a sottolineare gli scienziati. Ma se parliamo del cancro del pancreas, un vero e proprio “big killer”, il cui tasso di sopravvivenza a dieci anni è rimasto invariato nell’ultimo mezzo secolo - a differenza di quanto avvenuto praticamente per tutti gli altri tipi di tumore oggi curabili -, allora quel punto di partenza significa molto. Perché aver individuato fondamentali meccanismi all’origine di questa malattia, come ha fatto il gruppo di ricerca dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, coordinato da Gioacchino Natoli e Giuseppe Diaferia, con quelli dell’Istituto Fondazione di Oncologia molecolare (Ifom) e della divisione di Chirurgia pancreatica dell’Ospedale Humanitas, sempre del capoluogo lombardo, significa aprire più di una speranza sulla strada di terapie mirate e innovative contro quella che, entro il 2030, diventerà la seconda causa di morte per cancro.

I risultati della ricerca - sostenuta da Fondazione Airc e dal ministero della Salute, e pubblicata su Cancer Cell -, svelano il panorama intricato di questa neoplasia, dice Natoli, «chiarendone le complessità ed evidenziando le sfide che persistono per un suo trattamento efficace. Abbiamo identificato e caratterizzato nei dettagli la profonda eterogeneità di ogni singolo carcinoma del pancreas analizzato. Proprio questa eterogeneità contribuisce in maniera sostanziale all’inefficacia dei trattamenti esistenti». Così Diaferia spiega la novità del lavoro svolta dal gruppo italiano: «La coesistenza in ogni tumore pancreatico di popolazioni di cellule con diverse caratteristiche morfologiche, ovvero con un aspetto e un’organizzazione differenti, è nota da tempo. Non si era però mai riusciti a stabilire l'impatto di questa eterogeneità sul trattamento della malattia». I ricercatori hanno utilizzato tecnologie innovative per isolare piccoli gruppi di cellule e per la loro profilazione molecolare, combinandole con analisi computazionali e approcci di intelligenza artificiale. «Siamo così riusciti a definire questa eterogeneità – sottolinea Diaferia –, in modo che possa diventare il bersaglio di terapie mirate».

«È come se stessimo combattendo contro molteplici avversari contemporaneamente, invece che contro un singolo tumore – aggiunge Pierluigi Di Chiaro, primo autore dell’articolo –. Occorrono dunque strategie in grado di intercettare tutte le popolazioni di cellule neoplastiche. Il nostro lavoro pone le basi per identificare queste componenti e definire nuove strategie».

Uno dei principali risultati dello studio riguarda l’invasione dei nervi, autentiche vie di fuga a bassa resistenza per le cellule maligne. «In pratica – rivela Lucia Nacci, tra i coautori dello studio – i nervi sono la principale via di disseminazione metastatica, oltre che la causa dei forti dolori». Infine, specifica lo studio, le caratteristiche emerse pongono le basi per lo sviluppo di modelli di intelligenza artificiale che potrebbero analizzare «i preparati istologici, contribuendo a stabilire la composizione del tumore e a guidare il medico nella scelta della combinazione di farmaci più adeguata a ogni paziente». Insomma, per dirla con Natoli, comprendere l’eterogeneità di questa patologia può rivelarsi cruciale per creare terapie efficaci. Dopo decenni di fallimenti e tentativi a vuoto, la sfida è ora più che mai aperta.

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