martedì 22 gennaio 2019
Arrestati il nipote di Michele Greco e il figlio di Salvatore Lo Piccolo: c'erano anche loro alla riunione della “Commissione” del 29 maggio che ha fissato le regole del nuovo direttivo
Un momento dell'arresto di Calogero Lo Piccolo, figlio del boss Salvatore, a Palermo

Un momento dell'arresto di Calogero Lo Piccolo, figlio del boss Salvatore, a Palermo

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Figli e nipoti 'd’arte' ai vertici di Cosa nostra che, nell’era del dopo Riina, puntava a ricostituire la nuova 'cupola' spostando l’asse di governo sui mandamenti della città di Palermo e tenendo ai margini i paesi. Sono Calogero Lo Piccolo e Leandro Greco i due pezzi da novanta, giovani e d’alto lignaggio, che erano entrati a far parte della ricostituita commissione di Cosa nostra, smantellata lo scorso 4 dicembre con l’operazione 'Cupola 2.0' che ha portato in carcere 47 tra boss e gregari, tra cui il capo ottantenne Settimo Mineo. I due sono stati fermati in un blitz dei carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo, insieme con altre 5 persone arrestate dai poliziotti della Squadra mobile del capoluogo siciliano.

Lo Piccolo, 43 anni, è figlio di Salvatore, capomafia di San Lorenzo, e fratello di Sandro, latitanti catturati nel 2007 e condannati all’ergastolo. Aveva già scontato una condanna per mafia e sarebbe il nuovo capo del potente mandamento San Lorenzo-Tommaso Natale.

Sorprendono maggiormente il nome e il ruolo di Leandro Greco, detto Michele, 28 anni, incensurato, nipote di quel Michele Greco soprannominato il 'papa' di Cosa nostra, alla sbarra al Maxiprocesso e morto nel 2008. Il giovane Greco sarebbe diventato da qualche anno il boss di Ciaculli, dove è tornata la sede del mandamento che comprende anche Brancaccio, il regno dei Graviano. Un ragazzo con la stoffa del leader, «con la mentalità di un vecchio nel corpo di un giovane» commenta il nuovo pentito Francesco Colletti, che aggiunge: «’Stu ragazzino si è messo in testa che doveva essere capo di questa Commissione». Il suo nome era venuto fuori già nel 2013 in un colloquio intercettato in carcere tra i fratelli Giovanni e Giuseppe Di Giacomo: il primo killer di Porta Nuova condannato all’ergastolo, il secondo ucciso nel 2014.

Gli investigatori hanno accelerato i tempi degli arresti per evitare che Lo Piccolo e Greco potessero fuggire. Decisiva la scelta di collaborare con i magistrati da parte di Colletti, boss di Villabate, e di Filippo Bisconti, a capo di Belmonte Mezzagno, che pochi giorni dopo il loro arresto hanno già aperto squarci sulla vita dentro e fuori l’organizzazione mafiosa, su cui gli investigatori stanno lavorando.

L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, coordinata dal procuratore capo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dai pm Roberto Tartaglia e Amelia Luise, punta ad aggiungere tasselli mancanti al puzzle che permette di delineare i contorni della nuova mafia. «Abbiamo avuto la conferma di ciò che era stato già intuito: in Cosa nostra è in corso un rinnovamento nel solco di una tradizione storica per motivi di appartenenza mafiosa, ma anche familiare», spiega il procuratore Lo Voi. Non solo l’ottantenne Settimo Mineo, capomafia di Pagliarelli, arrestato a dicembre, ma un consistente manipolo di boss pronti a governare. «Qualcuno ha parlato di 'mezza Cupola', di 'cupoletta', ma le indagini hanno dimostrato che non si trattava di qualche vecchietto tornato in azione, bensì della ricostituzione della Commissione provinciale di Cosa nostra ad opera di soggetti di alto livello mafioso – continua Lo Voi –. Le due collaborazioni con la giustizia, realizzate peraltro in tempi record a un solo mese dall'arresto dei boss che hanno scelto di tagliare i ponti con la mafia, testimoniano il fallimento di un progetto, l’assenza di una prospettiva nel futuro».

Le rivelazioni dei due collaboratori aprono anche nuovi scenari sulle abitudini di Cosa nostra. Si ipotizza, addirittura, che esista un libro in cui sono scritte le norme mafiose a cui un uomo d’onore deve attenersi. «Bisogna rispettare le regole antiche e a quanto pare queste regole qualcuno le custodisce e credo che sia Corleone», racconta Colletti in un interrogatorio. Quanto basta per far partire una nuova caccia, questa volta al decalogo di Cosa nostra.

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