sabato 18 dicembre 2021
Le motivazioni della sentenza sul "modello Riace"
Mimmo Lucano: rifarei tutto. I suoi legali pronti a presentare appello

Ansa

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«Io rifarei tutto quello che ho fatto, anche più forte di prima». Con queste parole, a margine di un incontro a Bologna organizzato dalle Cucine popolari, Mimmo Lucano ha commentato le motivazioni della sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che lo ha condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di carcere.

Secondo l’ex sindaco di Riace, «ci sono tante contraddizioni e il giudice mi ha condannato dicendo che pensavo al futuro, ma sono cose non vere. Come fa a sapere quello che penso? Non so se si può condannare sulla previsione del futuro». Il modello Riace, per Lucano «è stato il modello della libertà e del rispetto dei diritti umani e non è stato qualcosa di scritto che abbiamo sperimentato dopo uno sbarco. C’è stata molta spontaneità in un luogo limite dove ci sono tantissime problematiche sociali e il messaggio che è venuto fuori è che è possibile, nonostante le difficoltà del territorio».

Va intanto registrata la posizione dei legali dello stesso Lucano, gli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, in merito al proseguimento del processo. «Dopo la lettura approfondita delle motivazioni della sentenza di condanna, siamo ancora più convinti dell’innocenza di Mimmo Lucano. Queste infatti contrastano con le evidenze processuali emerse in un dibattimento durato oltre due anni. I giudici poi, in contrasto anche con una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sull’uso delle intercettazioni telefoniche, negano la verità sulla stato di povertà dell’ex sindaco di Riace, confermata invece da tutti i testimoni e le acquisizioni documentali. Va anche ricordato come Lucano in numerose occasioni abbia donato e messo a disposizione dell’accoglienza le somme ricevute come premio in varie parti del mondo».

Il proposito della difesa di Lucano, a questo punto, è chiaro: contestare nel merito le accuse e presentare ricorso in appello.

«Contrasteremo nel merito i singoli capi d’imputazione e le argomentazioni dell’accusa e del Tribunale, a partire da quelle sui reati più gravi: associazione a delinquere e peculato. Sulla prima, si possono condividere o meno le scelte sull’accoglienza e l’integrazione dei migranti» secondo Pisapia e Dacqua, ma non va dimenticato che Lucano «avrebbe agito per aiutare chi scappava dalla guerra, dalla violenza e dalla fame. La sentenza poi scambia per peculato le attività di valorizzazione del territorio operate da Lucano. Rimane quindi una sentenza contraddittoria nel merito, oltre che sproporzionata nella pena».


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