Le Testimoni del coraggio. Lo sguardo rivoluzionario di Gesù
domenica 26 novembre 2023

In questi giorni si è detto molto e giustamente contro la violenza sulle donne. C’è però un modello che per tanti è rimasto nel silenzio: mi riferisco al modo con cui Gesù si è rapportato alle donne. Accennarvi può essere utile e significativo per i credenti e non solo per loro. Secondo il racconto dell’evangelista Luca, figlio della cultura pagana eppure in questo così lontano da essa, sono «le donne il prototipo dello slancio e del coraggio». La loro fede sta «all’opposto dell’incredulità degli apostoli, i quali anzi disprezzano il loro “vaneggiamento” (Lc 24,10s). Sembrerebbe qui che ad essere svalutati siano gli uomini, e non le donne... Esse sono state le più fedeli e le più coraggiose. Il loro timore non è pusillanimità, ma atteggiamento religioso normale di fronte al Dio invisibile» (René Laurentin, “Gesù e le donne: una rivoluzione misconosciuta”, in Concilium 16, 1980). Quello che «vi è di più originale nel vangelo di Luca è che egli osa riconoscere le donne come discepole di Cristo... Egli le mette sullo stesso piano degli Apostoli: “Lo accompagnavano i Dodici e alcune donne”» (ib., 691).

In realtà, l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne presenta i caratteri di un’assoluta novità in rapporto all’ambiente culturale e religioso del suo tempo: egli «accoglie senza distinzione uomini e donne, stabilisce fra di loro un’identità di statuto che viene espressa dall’uso di battezzare identicamente e senza distinzione di sesso» (ib., 697). La novità di questo comportamento risulta chiara se si pensa che in Israele la circoncisione è esclusivamente maschile e sono i maschi a entrare prioritariamente nel mistero dell’elezione, al punto che è la presenza di dieci maschi adulti (il “minyan”) la condizione necessaria della preghiera liturgica, da cui la donna è di per sé dispensata. «Questa novità del messaggio di Cristo ha sorpreso, ha messo in imbarazzo i suoi nemici e gli stessi suoi discepoli. Le loro preoccupazioni apologetiche li hanno indotti a sfumare questo aspetto della rivoluzione evangelica. I due ultimi evangeli [Luca e Giovanni], liberati da questa difficoltà, manifestano meglio il fatto e gli danno una portata antropologica» (ib.).

Qual è stata, dunque, l’esperienza delle donne che hanno incontrato e seguito Gesù? Alcuni esempi ci consentono di verificarlo. La prima figura da richiamare è quella di Maria, la Madre del Signore: Luca la presenta come la donna della fede per eccellenza, e lo fa sin dalla scena dell’annunciazione, in cui la Giovane appare come la Vergine dell’ascolto, la donna ebrea, cioè, formata alla spiritualità dello “shemà” (“Shemà, Israel”: “Ascolta, Israele”). Lo sottolineano le parole con cui si rivolge a Maria il vecchio Simeone, figura della speranza e dell’attesa del popolo eletto, che nel suo cantico celebra il bambino Gesù come il Messia venuto a visitare il suo popolo, «per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori». Rivolto a Maria, aggiunge: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (2,34s). La spada è - secondo la concezione biblica – il simbolo della Parola di Dio: Maria è chiamata a vivere in obbedienza alla Parola a Lei data, Parola rifiutata dagli uomini, abbandonata, crocifissa, silenziosa nella morte e resuscitata alla vita. Proprio così, per Luca, Maria è la credente che vive l’intero mistero di Gesù nel suo cuore e nella sua carne, la discepola fedele, modello di ogni discepolo, che partecipa della vicenda del Figlio con una intensità “viscerale”, materna, tipicamente femminile.

La sua fede, il suo discepolato sono partecipazione profonda d’amore e di dolore, di fede e di speranza finalmente vittoriosa, alla missione di Gesù. Alla scuola della donna Maria i discepoli di ogni tempo impareranno a seguire Gesù non solo con adesione mentale, ma con totale partecipazione affettiva e con dedizione incondizionata d’amore: e nella storia innumerevoli saranno le donne cui la fede potrà ispirarsi come a modello e sorgente di vita.

Una seconda figura cui vorrei guardare è Anna, protagonista della scena della presentazione di Gesù al Tempio, vera testimone dell’attesa (Lc 2, 25-32). Si tratta di una “profetessa” molto avanti negli anni, che mostra di avere una giovinezza della fede e del cuore così grandi, da riconoscere subito il Bambino che le è davanti. Anna è l’esempio di una fede che ha saputo attendere in maniera vigile il compimento delle promesse divine e che - nonostante il passare del tempo - non ha perso la freschezza e l’entusiasmo che la rendono capace di leggere il segno di Dio non appena si presenta. Mentre Simeone si rivolge a Dio e alla Madre, Anna loda il Signore e sente l’urgenza di partecipare la gioia del dono agli altri, rivelando una commovente premura e generosità verso il prossimo, tipicamente femminile e materna: alla sua scuola, e in generale a quella delle donne, è possibile apprendere la difficile virtù dell’attesa vigile e impegnata, tutt’altro che remissiva e rinunciataria.

Una terza figura femminile da richiamare mi sembra quella della peccatrice, testimone della potenza sanante dell’amore (cf. Lc 7,36-50): ella ottiene il perdono perché accoglie Gesù nell’amore più profondo, di cui sono segni i gesti teneri e perfino eccessivi che compie. Ciò che conta nell’incontro con Cristo non sono i nostri meriti o i nostri peccati, ma il cuore accogliente, che si esprime in gesti d’amore veri, nell’“eccesso” del dono, tipico dell’agire di chi veramente ama. Anche qui la donna non dice parole, a differenza del Fariseo: il linguaggio dell’amore parla con i fatti, sì che la peccatrice può educarci alla vigilanza fattiva, operosa e feconda. Ancora, fra i tanti altri esempi possibili, richiamerei la donna afflitta da perdite di sangue, sanata perché ha compreso che anche solo toccare il lembo del mantello di Gesù - stabilire cioè un contatto diretto e personale con Lui, pur in mezzo alla folla che si accalca - la potrà salvare. L’audacia del gesto - scandaloso per i benpensanti - è notata da Gesù, che chiama la donna allo scoperto per metterne in risalto il valore della fede e premiarla con il segno della guarigione. Chi resta fra la folla è solo spettatore: chi “tocca” Gesù con la fede della donna viene guarito ed entra nella novità di vita del tempo messianico, al punto che Gesù la chiama “figlia” e le chiede di rendere testimonianza in pubblico di ciò che le è avvenuto (v. 47).

Infine, è opportuno richiamare le donne che vanno al sepolcro (Lc 23,55-24,1-8), fedeli nella morte, per divenire poi testimoni della vita. Sono esse ad accompagnare la deposizione del Maestro, a preparare gli oli e gli aromi, ad aspettare ansiose la fine del sabato per andare alle prime luci del giorno nel luogo della sepoltura: è l’alba dell’ottavo giorno, e dunque la loro azione ha un valore simbolico in riferimento all’intera vita nuova dei discepoli del Risorto. Il loro amore non si arrende davanti alla morte, ma resta vivo, anche nell’apparente fine di tutto. È questo amore più forte della morte che le rende disponibili a ricevere per prime l’annuncio di Pasqua. Esse non temeranno di essere accusate di vaneggiamento, pur di donare agli altri la notizia straordinaria che trasformerà per sempre la loro vita e cambierà quella del mondo: Gesù è il Vivente fra noi, per noi... Esse sono le “apostole degli apostoli”, le testimoni del nuovo, sorprendente inizio che si compie nel Risorto, al quale hanno saputo aprirsi con un amore che non si è fermato davanti a nulla, nemmeno davanti alla morte. Il loro slancio dà inizio alla missione cristiana nel tempo, annuncio gioioso e contagioso dell’incontro con il Risorto che cambia il cuore e la vita. Senza di loro non ci saremmo noi a vivere di quell’annuncio e a volerlo portare fino ai confini della terra. Le donne con cui Gesù si è rapportato non hanno dunque meno da insegnarci degli apostoli, sulla cui fede la Chiesa è edificata: chi non sapesse coglierne il valore, rischierebbe di perdere non solo il profumo che Cristo dona alla vita, ma anche il fondamento e la consistenza della fede che da duemila anni, anche grazie a tante donne, nutre la vita e la speranza di tanti. Non per nulla, come ama ripetere Papa Francesco, «la Chiesa è donna»…



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