mercoledì 26 gennaio 2022
Il rapporto della forza navale europea documenta "l'uso eccessivo della forza" e una serie di violazioni nelle modalità operativa in mare. Ma Bruxelles conferma il sostegno e gli stanziamenti
Report "riservato" dei militari conferma: Ue conosce gli abusi in Libia
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Quasi mezzo miliardo di soli fondi europei destinati alla Libia, per leggere poi un rapporto riservato dei vertici militari Ue che, senza girarci intorno, scrivono: «La Guardia costiera libica ha mostrato di seguire le linee operative per cui è stata addestrata, ma non completamente». A cominciare da «un uso eccessivo della forza». Oltre al frequente rifiuto di fornire ai loro finanziatori europei le informazioni e i resoconti sugli interventi in mare.

Il documento di Eunavformed è catalogato come «restricted». Fornisce un quadro chiaro della situazione in mare, riconoscendo che non esiste una unica “guardia costiera”, ma diverse sigle, e che in svariati casi l’Italia ha persino coordinato l’intercettazione di migranti da parte di motovedette del generale Haftar, l’uomo forte di Bengasi che a più riprese aveva tentato di abbattere il governo riconosciuto di Tripoli.

In tutto 37 pagine, anticipate da Associated Press, che raccontano senza aggettivi né giudizi il ricatto da Tripoli: equipaggiamento e fondi, senza doverne poi rendere conto. Dal 2015 l’Unione Europea ha riversato 455 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario per l’Africa. Compilato dal contrammiraglio della marina italiana Stefano Turchetto, capo della missione di sorveglianza per l’embargo sulle armi (Operazione Irini), il testo raccoglie i contributi di altri ufficiali operativi.

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Scrivono gli ammiragli che il loro compito avrebbe dovuto essere anche quello di fornire «una valutazione più coerente» sulle capacità raggiunte dai guardacoste equipaggiati e addestrati soprattutto dall’Italia. A ottobre ci sono stati ad esempio quattro episodi per i quali Eunavformed avrebbe voluto maggiori informazioni. «Nonostante i continui contatti» tra i vertici militari sulle due sponde del Mediterraneo «volti a rafforzare gli scambi di informazioni» sulle attività della marina libica, «non è stato possibile ricevere il nome degli asset (le navi della guardia costiera lbica, ndr) coinvolti in questi quattro eventi». L’osservazione di un episodio del 15 settembre durante le fasi di recupero di un gruppo di migranti «indica che l’addestramento ricevuto è ancora visibile, ma non viene più completamente seguito». In particolare, «l’uso eccessivo della forza fisica da parte della guardia costiera libica contro i migranti, ad esempio, può essere visto come una conseguenza – si legge – dello stallo politico». Con le forze armate libiche che hanno adoperato non di rado tattiche «mai osservate prima e non conformi all’addestramento».

Probabilmente si tratta degli uomini di Bija. Nelle pagine successive, infatti, vengono menzionati una serie di interventi analizzati da Eunavfor. Si arriva proprio al 15 settembre, quando la motovedetta “Zawyah”, sotto il controllo delle milizie al comando del maggiore Abdurahman al-Milad (Bija) e collocata nel porto petrolifero di Zawiyah, dopo avere compiuto una cattura in mare trasmette un resoconto corredato da alcune immagini: «Analizzando le foto fornite all'interno del loro rapporto di missione - si legge nel dossier protocollato a Bruxelles - è evidente che durante questa attività” sono state utilizzate “Tttps (tecniche e procedure tattiche, ndr) mai osservate prima e non conformi alla formazione fornita da Operazione Sophia così come dalla regolamentazione internazionale».

Negli stessi giorni Bija diventava il comandante della ricostruita accademia militare della Marina libica e si occupa personalmente dell’addestramento delle reclute.

I conti, quando si ha a che fare con l’agglomerato di clan e milizie assurte ad autorità riconosciute, non tornano mai. La quantità di persone intercettate dalle due principali sigle (Libyan Coast Guard e Gacs, quest’ultima una sorta di polizia marittima sotto il controllo diretto del ministero dell’Interno libico) «rappresenta il 34% di tutti i migranti partiti dalla Libia (17612) da agosto a novembre 2021». Vuol dire che nonostante il considerevole numero di motovedette, pattugliatori, lance veloci a disposizione di Tripoli, i due terzi di tutte le partenze sfuggono ai controlli. La ragione è spiegata sempre dal report. Dei 26 pattugliatori censiti da Eunafor Med solo 10 sono stati osservati in azione, e tra questi 6 risultano in attività, per i restanti quattro lo stato operativo, alla data del 21 novembre, risultava «sconosciuto». Altri 15 sono annoverati in stato «sconosciuto», e una motovedetta risultava «non efficiente» e collocata a Malta.

La Commissione europea e il Servizio per l’azione esterna dell’Ue hanno rifiutato di commentare. In una dichiarazione il portavoce Peter Stano ha confermato che l’Ue è determinata a formare il personale della guardia costiera e rafforzare la capacità della Libia di gestire una vasta area di ricerca e salvataggio del Mediterraneo. L’Associated Press ha chiesto spiegazioni anche a Frontex, riguardo al caso di «uso eccessivo della forza fisica» del 15 settembre. L’episodio, infatti, non risulta di facile ricostruzione. Ma dall’agenzia per la protezione dei confini hanno risposto spiegando di avere presentato a suo tempo un «rapporto di incidente grave», ma di non poter rivelare i dettagli.

La riprova che a Bruxelles le violazioni degli accordi da parte di Tripoli sono conosciute e tollerate. La scorsa settimana il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto ai Paesi coinvolti di «riesaminare le politiche a sostegno dell’intercettazione in mare e del ritorno di rifugiati e migranti in Libia». Critiche respinte da Stano: «Quando si tratta di migrazione, il nostro obiettivo è salvare la vita delle persone, proteggere i bisognosi e combattere la tratta di esseri umani e il traffico di migranti».

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