mercoledì 25 giugno 2014
Sgominato il clan Molè: 54 in manette. Il procuratore: controlli rari e poco efficaci.
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Armi, droga e azzardo sono i tre grandi affari della ’ndrangheta. In Calabria come nel resto del Paese. «Il settore delle slot machines in territorio laziale è nelle mani della ’ndrangheta». E non solo nel Lazio. Lo scrivono i magistrati della Dda di Reggio Calabria nell’operazione "Mediterraneo" contro la cosca Molè, eseguita dal Ros dei Carabinieri, che ha portato in carcere 54 persone e al sequestro di beni per 25 milioni. Una cosca che dalla Piana di Gioia Tauro, dopo lo scontro perso col clan Piromalli, ha portato i propri affari in tutta l’Italia, in particolare a Roma, ma anche a Napoli, Modena, Padova, Imperia, Trieste e Torino. Armi, droga (hashish) e soprattutto slot. Quelle legali, attraverso società di distribuzione, sale gioco e bar. Ma poi anche truccate.«Emerge palesemente che il coinvolgimento in tale attività imprenditoriale non rappresenta un personale business di singoli pur ritenuti appartenenti alla ’ndrina Molè, ma un vero e proprio affare dell’intero sodalizio», si legge nell’ordinanza. A partire dai capi in carcere come il "vecchio" Mommo Molè, e i figli Nino e Rocco. Così il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho denuncia: «Anche in questa operazione si conferma che i controlli sono talmente rari e poco approfonditi da non riuscire a far emergere una realtà molto diffusa, come invece scoprono le nostre inchieste». Ma dalle intercettazioni emerge anche di peggio, come in occasione della perquisizione della Guardia di Finanza in una delle sale. «Si comprende», si legge ancora, come uno degli uomini del clan «si sia adoperato per contattare militari infedeli onde aggiustare gli esiti dei controlli». Per evitare che si scoprissero «le adeguate manipolazioni delle slot», scrivono i magistrati. E si cita anche «un colonnello». Un fatto, evidentemente da accertare, che i magistrati commentano duramente. «Ora, al di là del vile prezzo del mercimonio (roba casareccia), resta il dato che evidenzia come il sodalizio potesse contare anche su appoggi nelle istituzioni onde fronteggiare eventuali esiti negativi dei controlli di rito».Un’organizzazione perfetta che, attraverso un sistema di telecamere, riusciva a tenere sotto controllo sale e bar fin da Gioia Tauro. «Il sistema di controllo che ho io là non mi scappa niente...», dice intercettato uno degli arrestati. E i magistrati lo confermano scrivendo di «un sistema di controllo audio-video da far arrossire le migliori teleassistenze di cui oggi la P.A. dispone» e questo «di media a 600 km di distanza». L’ennesima dimostrazione «dei mezzi di cui si avvale oggi la ’ndrangheta». Una scenario che conferma ancora una volta il grande interesse delle cosche, come spiega il pm Roberto Di Palma che ha condotto l’inchiesta. «Il settore del gioco è in grande espansione e la ’ndrangheta lo sa benissimo. È facile truffare ed è facile riciclare il denaro sporco attraverso prestanome. È il classico stile parassitario della ’ndrangheta che le permette enormi guadagni». Ma proprio per questo deve accordarsi con le altre mafie. Anche qui l’operazione di ieri è esemplare. Si parla di «un mercato in cui la longa manus delle associazioni criminali è penetrata, specie in una realtà particolarmente redditizia come può essere quella della Capitale», e di «un meccanismo di suddivisione del territorio tra "famiglie"». Ma i Molè vogliono espandersi e a Ostia si scontrano con chi già detiene il mercato. Ma, come sottolinea il procuratore Cafiero de Raho, «la ’ndrangheta ha proprio la capacità di inserirsi in territori altrui e di imporsi agli altri gruppi». «Io lavoro con una società di Reggio che sono persone a modo...di Reggio Calabria», dice un esponente del clan per convincere la "concorrenza". Parole che bastano. Oppure si fa intervenire un altro personaggio di spicco, come "Rocco" Femia, attualmente sotto processo a Modena, anche lì per gli affari sulle slot e per le minacce al giornalista Giovanni Tizian. O si arriva a minacciare di «spaccare le serrande». E alla fine si piazzano le slot un po’ dovunque. Una tecnica che il procuratore sintetizza così: «La ’ndrangheta inquina ormai tutte le regioni prima in modo poco visibile, poi occupando settori economici e imponendo la propria presenza». E quello dell’azzardo assieme a quello della droga oggi è l’affare principale «per rimpinguare le proprie casse».
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