domenica 21 giugno 2020
A 28 anni in un incidente perse entrambe le gambe. Proprio in quei giorni il campione tornava a correre. Poi i loro destini si sono incrociati, accomunati dalla stessa fede
Giusy Versace

Giusy Versace

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«Anche la mia vita, come quella di Alex, è divisa a metà: c’è un prima e un dopo». Il confine, per Giusy Versace, è il guardrail che il 22 agosto 2005 le ha strappato entrambe le gambe dopo uno schianto sulla Salerno-Reggio Calabria. «È lo stesso 2005 in cui Zanardi tornava a correre dopo aver perso le gambe, proprio nei giorni in cui io ero in ospedale, quindi è stato uno stimolo fortissimo per me e per la mia famiglia nelle ore più drammatiche». Anche lei, come Alex Zanardi, avrebbe avuto tutto il diritto di disperarsi per una vita dimezzata, invece da quel giorno i loro destini si sono incrociati spesso, accomunati dalla stessa carica vitale, dalla fede e dal desiderio di aiutare gli altri, «anche chi disabile non è, eppure non ha la forza di vivere». Ora che Zanardi, in terapia intensiva all’ospedale di Siena affronta una nuova sfida ai limiti del possibile, tra gli amici che attendono con il fiato sospeso l’evoluzione del quadro clinico c’è Giusy Versace, forse la persona che per esperienza personale più di ogni altra può capire la battaglia che in quella stanza si sta combattendo. Atleta paraolimpica, scrittrice e parlamentare, oro e record italiano sui 200 metri, record europeo sui 100 metri, finalista nelle Paraolimpiadi di Rio 2016, aveva 28 anni e un’esistenza privilegiata quando la vita le presentò il conto: «Avevo una carriera lanciatissima e una grande famiglia, mi sentivo imbattibile. In un secondo è sparito tutto. Potevo scegliere se guardare oltre o rinunciare, ho attraversato il dolore e oggi so che ogni giorno è un dono di Dio».

Quando ha conosciuto Zanardi?

La cosa strana è che non ricordo il momento in cui ci siamo incontrati la prima volta, anche perché è uno di quei personaggi che ti sembra di conoscere da sempre. Mi ricordo invece le nostre lunghe chiacchierate al Villaggio Olimpico di Rio nel 2016, le tante cose che negli anni abbiamo condiviso, le iniziative pubbliche, le testimonianze, le attività di solidarietà con cui abbiamo messo in sinergia le nostre due onlus, 'Obiettivo3' di Alex e la mia 'Disabili No Limits'. Da quando mio fratello mi ha chiamata per dirmi che Alex aveva avuto un terribile incidente ed era grave, sono sospesa in questa bolla di rispetto e di dolore, affidandomi solo alla preghiera e confidando nella sua forza: non è un uomo comune, ce l’ha sempre fatta e la speranza è che vada così anche questa volta. Seppure da lontano, dobbiamo restargli accanto e combattere con lui.

Facile accomunare le vostre due storie. Ma che cosa vi rende così simili, ben al di là di due gambe la cui assenza non vi ha saputi fermare?

Sicuramente una grande fede. Anche io, come era accaduto a lui nel 2001 dopo l’incidente sulla pista, appena mi sono risvegliata in ospedale senza le gambe ho ringraziato Dio per quello che c’era, non mi sono disperata per quello che non c’era. Anche dopo lo schianto è stata la fede a salvarmi: cercavo il cellulare nell’abitacolo per chiamare i soccorsi e spostando gli airbag con le mani mi accorsi che il guardrail era entrato sotto lo sterzo, mentre le mie gambe non c’erano più… Come scappare, in quelle condizioni? Mi è spuntata dentro una preghiera, 'Ave Maria', è stata come una luce, nonostante i dolori lancinanti. Poi il risveglio in rianimazione.

Uguale è anche il desiderio di superare i vostri limiti, provando nuove avventure e vincendo le sfide.

È vero, fin da piccolina mio padre mi ha fatta appassionare alle corse e mi ha messa a sedere al volante... Anche Alex è fatto così, ma tengo a precisare che non è un temerario, uno che se le va a cercare, quando si è scontrato con il camion era sulla sua handbike per generosità, come sempre: stava promuovendo 'Obiettivo3' per dare una mano a ripartire dopo la pandemia.

«Qualcosa di buono a questo mondo devo averlo fatto, se in tanti mi vogliono così bene» disse in un’intervista. E l’affetto degli italiani è evidente anche in questi giorni.

Zanardi è molto amato perché non si può non volergli bene, è un grande uomo, coerente, sa sempre soppesare i suoi interventi, mai una parola negativa, ha continuato imperterrito a sorridere alla vita e a trovarla meravigliosa. E poi è dotato di grande autoironia, per questo mi sento molto simile a lui: è giusto così, sorridere, guardare avanti, essere di sostegno a chi non ce la fa. Spesso scherzavamo sulle nostre gambe, gli raccontavo che provavo a promuovere l’handbike ma che a ogni curva mi capottavo, così lui mi prometteva che mi avrebbe insegnato qualche trucco...

Pensa che potrà farcela anche questa volta, sorprendendoci tutti?

Io ora non penso. Lui è un combattente, noi possiamo solo essergli alleati con la preghiera. Anche questa volta ha accanto la sua grande moglie, sempre discreta ma incisiva, è lei la sua vera forza e colonna. Non l’ho chiamata, le sono accanto nel silenzio, conscia che siamo nelle mani di Dio: la cosa davvero utile che posso fare è questa, il resto lo fanno i medici.

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