Il “no”, l'ultimo appuntamento, l'emulazione: 6 cose da capire dei femminicidi
di Redazione
Cristina Carelli, presidente di Donne in rete contro la violenza, e Lucia Annibali, ex parlamentare ed avvocata rispondono alle nostre domande

Il femminicidio di Martina Carbonaro ad Afragola, confessato dall'ex fidanzato Alessio Tucci, apre interrogativi drammatici: lei aveva appena 14 anni, lui 19. Perché una violenza così efferata a una così giovane età? Perché un ragazzo non sa accettare un no definitivo da colei che dice di amare? Perché questi residui di cultura patriarcale emergono in un giovane di 19 anni? E poi: qual è la responsabilità dei media? e cosa può fare l'educazione? Lo abbiamo chiesto a due esperte.
Risponde Cristina Carelli, presidente di Dire, Donne in rete contro la violenza
Vittime e carnefici sempre più giovani. Perché aumenta la violenza nelle relazioni tra teen agers?
Da anni registriamo un aumento di accesso ai Centri antiviolenza da parte di ragazze molto giovani, anche meno che 20enni. Anche grazie ai laboratori che portiamo nelle scuole ci siamo rese conto che il tema della violenza nelle relazioni è già presente tra gli adolescenti. Quello che sconcerta sono i femminicidi in queste fasce di età. Oggi le ragazze esprimono libertà nelle scelte di vita; tra i ragazzi tuttavia resta presente la dimensione predatoria, con le pretese di controllo. Notiamo che le ragazze inoltre spesso fraintendono le espressioni di gelosia dei compagni. Quanto accaduto ad Afragola impone che ci sia un impegno immediato per l’avvio di percorsi sulla dimensione dell’affettività, di analisi condivisa con i più giovani su che cosa vuol dire stare in relazione e considerare l’altro come soggetto libero.
Colpisce la crudeltà con la quale le giovani vittime sono colpite: la 13enne Aurora probabilmente spinta giù dal terrazzo, lo scorso ottobre a Piacenza, ora Martina uccisa con un masso. Perché modalità così efferate?
Accade che il ragazzo è concentrato su di sé, perché non è in una vera relazione di scambio. L’altra persona è considerata solo in quanto risponde ai propri bisogni, e dunque è disumanizzata a tal punto da infierire su di lei come se fosse un oggetto, non un essere umano, con aggressività e disumanità.
Martina aveva lasciato Alessio, lui non lo accettava. Perché andare all'ultimo appuntamento, il più pericoloso?
Sarebbe più corretto concentrarsi sui comportamenti dei ragazzi anziché su quelli delle ragazze, altrimenti si rischia di colpevolizzare le vittime. Una giovane libera, che vive in un modo sereno, non arriva a pensare che la persona con cui aveva costruito una relazione inizialmente bella, magari anche progetti di futuro, possa spingersi fino a un gesto così estremo come il femminicidio. Persino le giovanissime che arrivano precocemente ai nostri Centri chiedendoci se la relazione in cui vivono è viziata dalla violenza, in generale non riescono a contemplare una situazione così dura, così lontana dall’umano come un rischio imminente per la propria incolumità. Hanno investito sentimenti, aspettative nell’altra persona e staccarsene emotivamente richiede tempo.
Risponde Lucia Annibali, avvocata ed ex parlamentare.
Perché una donna che dice no può scatenare la violenza omicida?
Una simile violenza non è occasionale, esiste già nella relazione, anzi nell’incapacità di stare nella relazione, di costruire un rapporto che sia fatto di reciprocità, rispetto, ascolto dell’altro. Nessun uomo diventa violento appena prima di uccidere, l’aggressione fisica, fino all’atto omicida, è solo l’azione finale di un percorso, non un agito singolo ma l’esito di una modalità precisa di vivere i legami. L’uomo violento lo è sempre, lo è fin dall’inizio ma sa fingere bene, sa come dare vita a una relazione sbilanciata. Ma questo lato non resta nascosto a lungo e quando la donna decide di mettere fine alla relazione emerge peggiore che mai: resta il fatto che alla base dell’atto brutale c’è sempre una scelta individuale del soggetto, un’incapacità strutturale di mettere in campo altro che sopraffazione e abuso.
I media danno risalto a questi omicidi. Esiste un effetto emulazione?
Ho una certezza: la violenza è sempre una scelta individuale. La responsabilità, più che ai mezzi di informazione, la attribuirei a un certo modo di fare televisione, a programmi, i reality su tutti, che da tempo propongono modalità di relazione pericolose: si permette a uomini e ragazzi di assumere atteggiamenti aggressivi nei gesti e nei toni nei confronti delle donne o delle ragazze presenti. Non si può essere superficiali quando si tratta un materiale così delicato e importante come i rapporti tra i due sessi. Al contrario, specie se il pubblico di riferimento è giovane o giovanissimo, serve più senso di responsabilità nel comunicare, è necessario essere molto vigili, critici e chiari. La violenza, in qualsiasi forma, dovrebbe essere sempre condannata senza esitazioni.
Non ci resta che educare?
Di recente, in uno dei tanti incontri che organizzo nelle scuole, un ragazzino mi ha detto: «La mia ragazza viene in discoteca solo con me. Non perché non mi fido di lei, ma perché non mi fido di tutti gli altri». Cos’è questo se non controllo estremo? La brutalità, come dimostra la vicenda di Afragola, viene sperimentata fin da minorenni, anche le adolescenti fanno incontri violenti, vivono sofferenze. Con i ragazzi, provo a dare un nome alle cose: se vuole stare sempre con te non ti sta amando ma opprimendo; se controlla il tuo telefono non è perché ti ha a cuore ma per controllarti; se vuole sapere con chi esci non lo fa per proteggerti ma per comprimere il tuo spazio di libertà nel frequentare altri amici. È una semina, spero sempre che dia frutti.
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