domenica 27 aprile 2025
Come vent’anni fa la morte di Giovanni Paolo II, anche il giorno del funerale di Francesco è coinciso col sabato che introduce la ricorrenza voluta dal Papa polacco
Un ragazzo si inginocchia durante le esequie di Bergoglio, in preghiera insieme ad altre migliaia di giovani

Un ragazzo si inginocchia durante le esequie di Bergoglio, in preghiera insieme ad altre migliaia di giovani - Reuters

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Nelle date si cela un messaggio. E quello che arriva da questi giorni sorprende per la sua trasparenza. Vent’anni fa, la morte di Giovanni Paolo II alla vigilia della Domenica della Divina Misericordia da lui stesso istituita sembrò il suggello di un pontificato che sin dall’enciclica Dives in misericordia (1980), scritta appena due anni dopo l’elezione, aveva assunto la missione di rivelare all’umanità di oggi il volto di Dio «ricco di misericordia », mostrato nel Cristo Redemptor hominis (l’enciclica programmatica del 1979), «centro del cosmo e della storia». Non una verità astratta ma un incontro che cambia il mondo e l’esistenza dell’uomo, «prima e fondamentale via della Chiesa » in un abbraccio che riconcilia.

La sera di quel sabato 2 aprile 2005 all’annuncio della morte del Papa devoto di santa Faustina Kowalska, apostola della Divina Misericordia, fu come se l’eredità di 27 anni di pontificato si chiarisse da sé nella domenica che già iniziava. E cosa diceva il calendario della Chiesa ieri, giorno dei funerali di papa Francesco, “inventore” nel 2015 del Giubileo della Misericordia? Che era ancora una vigilia della Domenica della Divina Misericordia – oggi –, evento che da Giovanni Paolo II in poi è collocato a conclusione dell’Ottava di Pasqua. Questo ricorrere di circostanze non è il segno di un semplice legame ideale tra due grandi pontefici dei nostri giorni, così distanti e così vicini, ma l’indicazione della strada imboccata dalla Chiesa per parlare oggi al cuore delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di tutti. In quale altro modo, se non per la via della misericordia, si può arrivare al cuore di todos? Proprio quel cuore di carne al quale Bergoglio ha dedicato la sua ultima enciclica ( Dilexit nos, pubblicata solo sei mesi fa), documento che apre il segreto spirituale della dirompente umanità del Papa argentino. Se Wojtyla aveva voluto che la misericordia fosse il segno esplicito con il quale la Chiesa si fa incontrare sulle strade dell’umanità, Bergoglio ha portato questo messaggio nella vita di ciascuno di noi con il suo stile diretto e caldo, di cui già abbiamo nostalgia.

Che la misericordia fosse per lui l’architrave del Vangelo apparve chiaro sin dalle prime ore del pon-tificato, quando si fece conoscere con semplicità nel suo modo di fare, di essere e di predicare. Memorabile proprio in questo resta il primo Angelus dal Palazzo Apostolico, il 17 marzo 2013: «Il volto di Dio – disse commentando la pagina dell’adultera perdonata – è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza. Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza, pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito». E per spiegarsi meglio, ricorse – come poi avrebbe fatto spesso – a un aneddoto della sua vita di arcivescovo: la «nonna» che a Buenos Aires gli chiese di confessarsi e che, incalzata dalle sue domande sul perdono di Dio (c’è tutto Bergoglio “padre” in questo dialogo a parti rovesciate), lo spiazzò con la sua conoscenza teologica “del cuore”: «“Il Signore perdona tutto”, mi ha detto, sicura. “Ma come lo sa, lei, signora?”. “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle: “Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio». Dal dialogo con la abuela argentina Francesco trasse l’insegnamento che anticipava i successivi anni al timone della barca di Pietro: «Non dimentichiamo questa parola – sono sempre parole di quel primo Angelus –: Dio mai si stanca di perdonarci, mai! “Eh, padre, qual è il problema?”. Eh, il problema è che noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo a essere misericordiosi con tutti».

Indugiando sulla bara di nudo legno, le immagini tv del funerale di Francesco hanno rivelato ieri, inciso verso il fondo della lastra superiore, il motto episcopale di Francesco: Miserando atque eligendo, “ Guardò con misericordia e lo scelse”. Parole che, di ogni vescovo, rivelano sempre il perno della sua interiorità. Ecco il punto: Jorge Mario Bergoglio era intimamente certo di essere oggetto dello sguardo di Dio “ricco di misericordia”, origine e ragione della sua chiamata a essere ciò che era, uomo, battezzato, sacerdote, pastore. E in quella misericordia ha visto il tesoro senza fine al quale attingere la gioia, la luce, la pace e la speranza che ha incontrato nella sua vita, diffondendole ovunque. E che ci lascia come un impegno, in una Domenica della Divina Misericordia che ci parla come vent’anni fa.

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