venerdì 27 ottobre 2017
33mila senza abitazione. Arrivate 200 casette su 2mila. Si moltiplicano le dichiarazioni di inagibilità. La Regione: presto tutti a casa
Terremoto nelle Marche, la beffa sfollati: in un anno 8mila in più
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Non è cambiato nulla rispetto a 12 mesi fa. È il pensiero comune, la frase più abusata e la più ricorrente nel Maceratese. C’è invece qualcosa che è cambiato, ed è un dato di fatto. Sono i numeri a raccontarlo: gli sfollati nelle Marche sono 8mila in più rispetto al 26 ottobre 2016. Si è passati da 25mila ai 33mila attuali.

Un aumento dovuto al fatto che i sopralluoghi, andati avanti a rilento (e non ancora portati a compimento, ne mancano 3.200 sui 100mila richiesti) hanno certificato, pian piano, nuove inagibilità. Con la conseguenza che 8mila persone appunto, ignare fino alla consegna del risultato del sopralluogo, hanno continuato a vivere per mesi e mesi in abitazioni che credevano sicure e poi, d’un tratto, ordinanza in mano, si sono trovate costrette a un imprevisto trasferimento. Un numero immenso, quello dei senzatetto: «Gestirli è un’impresa pazzesca», ha dichiarato qualche giorno fa David Piccinini, capo della Protezione civile regionale. Qualcosa, dunque, c’è di sicuro a un anno dal sisma: la vita di 33mila persone è cambiata, sconvolta dalla paura, dai traslochi, da un futuro indefinito.

Dentro questo numero ci sono tutti: gli sfollati ospitati negli alberghi, gli irriducibili (che vivono in roulotte dove si preparano a trascorrere un secondo inverno), quelli in appartamenti e con il Cas (il Contributo di autonoma sistemazione), e circa 600 persone nelle casette. A proposito di casette: dalle fortissime scosse che hanno devastato il Maceratese e, ancora una volta, le Marche, quella di 5.4 e subito dopo quella di 5.9 vicino a Castelsantangelo sul Nera la sera del 26 ottobre, è stato consegnato appena un 10% di quelle richieste, con le macerie da rimuovere, le attività produttive delocalizzate o rimaste chiuse, Municipi inutilizzabili e chiese fuori uso per anni o decenni. Nel dettaglio, su circa 2mila abitazioni richieste ne sono arrivate 200; fatta eccezione per alcune a Pieve Torina (Macerata) e una manciata di un’area di Arquata, il cronoprogramma è saltato.

Molti degli arrivi previsti per ottobre slittano a Natale, e nel caso di Visso addirittura a gennaio. Ma bastano 15 giorni di pioggia per far saltare anche questo nuovo programma, e in certe zone è già arrivata la neve (a Bolognola e a Frontignano di Ussita). Il nome tecnico delle casette è Sae, che sta per “Soluzioni abitative d’emergenza”, ribattezzate ironicamente in “Soluzioni abitative in attesa eterna”: così le chiamano i cittadini della rete 'Terre in Moto', che ieri hanno lasciato casette simboliche davanti al palazzo della Regione, un segno di protesta «contro i ritardi e la strategia dell’abbandono ».

Chiamare ancora strutture d’emergenza, a un anno dal sisma, le casette che per giunta non ci sono ancora, «sembra una gigantesca presa in giro», tuonano i cittadini. I ritardi per le Sae sono dovuti alla difficoltà per l’individuazione delle aree, che ha richiesto più tempo del previsto, e alla lentezza con cui procedono i cantieri, tanto che recentemente la Regione ha diffidato il consorzio Arcale, uno degli assegnatari del bando. Eppure i vertici dell’ufficio ricostruzione e della Regione assicurano che stanno lavorando al massimo «per riportare i cittadini a casa il prima possibile ».

In 12 mesi, però, tutto può accadere, e c’è chi intanto ha trovato lavoro lontano dal paese d’origine e si è trasferito definitivamente, chi è morto (per età avanzata o malattia), chi si è tolto la vita. I disagi psichici e i suicidi sono cresciuti dopo il sisma, tanto che la procura di Macerata ha disposto un approfondimento in merito a una «situazione preoccupante », disponendo figure di sostegno per chi soffre. Come Salvatore Cascioli, 91 anni. È nato in casa, a Sasso, frazione di Ussita. Dopo otto mesi in un camping, ora vive in un appartamento a Macerata. «Voglio tornare a Ussita, aspetto solo la casetta. Ma ci vorrei tornare da vivo». Tutto ha affrontato nella vita: la difficoltà di trovare lavoro nel dopoguerra, l’invalidità del fratello (che ha accudito giorno e notte per 15 anni), due anni fa la morte della moglie (spirata tra le sue braccia). «Ma non posso sopportare questo, di stare lontano dalle mie montagne. Devo tornare a casa mia».

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