sabato 11 marzo 2023
Commozione e rabbia tra i manifestanti che da Cutro hanno raggiunto il luogo del disastro. Le preghiere e i canti dei parenti delle vittime. Il racconto dei superstiti: «Non lasciateci soli»
Un momento della manifestazione sulla spiaggia di Cutro

Un momento della manifestazione sulla spiaggia di Cutro - Ansa

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«Scappiamo dalle nostre case, in Afghanistan, perché siamo minacciati di morte. Se non partissimo il nostro destino sarebbe comunque segnato». Sulla spiaggia di Steccato di Cutro cala un silenzio irreale. In paese erano arrivati prima in 5mila poi ne sono arrivati tanti altri, oltre 10mila persone immobili ad ascoltare.

L’uomo che parla racconta d’essere salpato assieme a un cugino, la moglie e due bambini. Sono tutti morti, ma solo tre sono stati ritrovati. Manca ancora uno dei piccoli. Il fratellino è stato restituito venerdì dal mare e ieri mattina proprio lo zio ha dovuto riconoscerlo. Sono una trentina gli annegati cui ha dovuto dare un nome, in contatto telefonico con i parenti in Afghanistan.

Finito il racconto canta una preghiera islamica, la voce rotta dal pianto, in sottofondo solo il rumore del vento. Tutt’attorno i fiori, a ricoprire la sabbia che ha accolto morte e disperazione. E laggiù il mare blu cobalto che continua a restituire corpi, tre (di cui due di bambine) proprio mentre la folla cammina lungo la spiaggia di Steccato.

È stato un altro giorno di commozione e di rabbia, a Cutro. Il migrante afghano che racconta la fuga dalla sua terra è solo uno dei superstiti che ieri al tramonto hanno preso la parola sulla spiaggia di Steccato dopo la marcia silenziosa a cui autorità, operatori umanitari, associazioni e persone comuni hanno partecipato da ogni parte della Calabria e dell’Italia per dire basta alle stragi in mare. Subito.

In testa al corteo. La croce costruita con i legni dell'imbarcazione naufragata sulla costa di Cutro

In testa al corteo. La croce costruita con i legni dell'imbarcazione naufragata sulla costa di Cutro - Ansa

In testa al serpentone la croce realizzata coi resti della barca naufragata, già diventata simbolo della tragedia: la gente s’è messa in fila per caricarsela in spalla, come in una seconda Via Crucis. I giornalisti, invece, hanno scelto di indossare il pass con la foto della collega afghana morta nel naufragio.

Tanti i giovani, i nonni coi nipoti, le famiglie coi bimbi piccoli. Come Donatella e Daniele, che hanno portato la piccola Laura Bernadette di 8 anni, o Sofia e Papia dell’Arci Roma, con zaino in spalla e due rose da piantare sulla spiaggia per i morti e i dispersi. Il capoclan Giuseppe Sorrentino, invece, è a Cutro con rover e scolte del Catanzaro 4, mentre il direttore dell’ufficio di Pastorale sociale e del lavoro dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, don Gaetano Rocca, assieme a delle parrocchiane ha sfilato con dei peluche: vorrebbero ancora consegnarli alla premier Meloni, visto che non li ha raccolti durante la visita a Cutro. Il direttore della Migrantes regionale, Pino Fabiano, s’è messo in cammino coi componenti della commissione calabrese.

Presente pure la presidente della Rete nazionale dei centri antiviolenza Dire, Antonella Veltri, la quale ha ricordato le tante donne accolte nelle loro strutture e che raccontano violenze d’ogni genere nei viaggi. E poi i volti più celebri: quello di Cecilia Strada, figlia di Gino Strada, di Luigi De Magistris, ex sindaco di Napoli, e dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. C’è anche don Mattia Ferrari della Mediterranea Saving Humans, che stigmatizza la strumentalizzazione delle parole del Papa sui migranti da parte della politica.

Qualcuno prova a buttarla anche in politica, con le bandiere dei sindacati e del Pd. Forse troppe, denuncia Fatima, giovane italiana di origini africane che vive a Napoli e che ha chiesto di ricordarsi dei migranti nei prossimi giorni, quando il dolore per quanto avvenuto sarà scemato e i riflettori si spegneranno. «Perché noi lottiamo ogni giorno, quando dobbiamo andare in questura o solo cercare una casa».

Un altro superstite, siriano, pure lui accolto dall’associazione Sabir, racconta tra le lacrime di non essere riuscito a salvare il fratellino di sei anni. «Nostra madre lo aveva affidato a me, vivrò sempre con questo dolore».

Una donna afghana aggiunge: «Cerchiamo solo una vita normale, non siamo criminali». Molti tra i superstiti e tra i familiari delle vittime si scagliano contro il governo italiano, sottolineando la pericolosità della rotta turca e chiedendo più interventi in mare. Tutti ringraziano la popolazione calabrese e le associazioni per quanto stanno facendo. Chiedono che le ricerche in mare non si fermino sino all’individuazione dell’ultima vittima: «Non lasciateci soli».

La sera aumenta il dolore di chi ha perso un caro nel naufragio. Manca ancora il corpo di un bambino

La sera aumenta il dolore di chi ha perso un caro nel naufragio. Manca ancora il corpo di un bambino - Collaboratori


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