mercoledì 29 luglio 2020
Fabio Vettorello, 31 anni, insegnante di lettere, dalla fine del lockdown ha deciso di incontrare di persona ognuno dei suoi 80 studenti per consegnare loro un romanzo: «Leggere serve a sperare»
Una delle classi del prof Fabio (lui è il quinto in alto, da destra)

Una delle classi del prof Fabio (lui è il quinto in alto, da destra)

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Quasi 500 km percorsi in bicicletta in circa venti giorni di tempo, sfidando il meteo bizzarro del mese di giugno, con la sporta piena di libri. Perché serve poterla immaginare, la speranza, in un tempo che ne fa più che mai difetto. E leggere serve a questo. È così che Fabio Vettorello, 31 anni, insegnante di Lettere residente a Vazzola (siamo nella provincia di Treviso e nella diocesi di Vittorio Veneto) ha deciso di non lasciarsi vincere dall’impossibile del Covid, inventandosi un modo nuovo per stare vicino ai propri alunni.

Le scuole sono chiuse e lo rimarranno per sicurezza fino a chissà quando? Si dovrà proseguire con le lezioni a distanza e le verifiche digitali? D’accordo, ma a lockdown finito, e con la riapertura delle attività sportive in solitaria, il giovane insegnante non si è accontentato più dei volti dei suoi ragazzi che bucavano lo schermo del pc, preferendo di gran lunga una capatina a casa loro. S’è improvvisato ciclista – tra le sue passioni, lo sport personale e di squadra non figura certamente tra le ultime – andando a trovare personalmente, uno ad uno, tutti i suoi ottanta alunni dalla prima alla quinta superiore del Liceo dove insegna (l’Istituto Marconi di Conegliano), sparpagliati in un territorio che va dalle Prealpi alla profonda pianura trevigiana.

E lo ha fatto – in un giro che è durato settimane – recando loro in dono un libro di letteratura, pensato per ciascuno, con tanto di dedica. Leopardi, Manzoni, Dante, Brontë, Wilde, Calvino, De Amicis, Svevo, Seneca, Terenzio, Collodi, Dostoevskij, solo per citarne alcuni. Indirizzi alla mano, due ruote gonfiate alla perfezione e soprattutto un’intelligente analisi del territorio, cercando di raggruppare almeno gli studenti più vicini (circa una quindicina per volta), che si scrivevano su WhatsApp, chiedendosi l’un l’altro: «Oh, ma da te è già passato?». Fabio è arrivato a casa di tutti, suggerendo le pagine di un romanzo antico o moderno, italiano o straniero, come antidoto all’asfissia della mente e alla incapacità di stare da soli. E riportando accanto ai ragazzi anche la scuola, sentita per mesi così lontana.

Forse anche per questo, oltre alla sorpresa iniziale di veder arrivare a casa proprio il prof (con mascherina e a distanza, s’intende), la reazione di tutti è stata commossa: Marco, Luisa, Roberto e gli altri si sono sentiti cercati e pensati. Come le loro famiglie, paralizzate dall’assenza di informazioni certe su quel che sarà dei propri figli a settembre. È bastato un piccolo segno concreto, per ribaltare la prospettiva: «Penso all’emozione di una mamma nello scoprire il titolo pensato per sua figlia » racconta Fabio, guarda caso un classico francese che l’aveva fatta innamorare molti anni fa e da cui ha tratto lo spunto per il nome della ragazza: Emma (il libro è Madame Bovary di Flaubert). Alla fine di quei 500 km, «insieme alla fatica e a tanta abbronzatura, è rimasta la gioia per aver rivisto e salutato i miei ragazzi e le mie ragazze, che abitano solitamente i banchi e le classi del Liceo – racconta il prof –. Mentre lo zaino si svuotava dei libri regalati, il cuore si riempiva dei loro sorrisi». La scuola italiana è anche questo.

E la creatività dell’educazione, talvolta, va anche in bici.

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