venerdì 7 settembre 2012
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​Stanno aprendo le loro luccicanti vetrine nelle città al posto dello storico videonoleggio travolto dalle cineteche online, del negozio di alimentari o della merceria azzoppati dai centri commerciali, della libreria che non ha retto alla concorrenza della grande distribuzione. Le sale per il gioco d’azzardo che da un giorno all’altro spuntano nei quartieri dove si dipana la quotidianità di milioni di famiglie italiane, tra un parrucchiere e un panificio, quasi fossero un’altra usuale e rassicurante bottega, suscitano in molti un sentimento di tristezza che si somma alla naturale preoccupazione per lo spalancarsi di una finestra affacciata su illusorie promesse di ricchezza facile e improvvisa. La loro mercanzia di roulette, slot machine, videopoker, esibita in modo solo allusivo o volgarmente esplicito a due passi da una scuola, una parrocchia, un ospedale, ha giustamente (e finalmente) suscitato l’allarme dell’opinione pubblica, e ora anche la reazione del governo che ha deciso di cominciare a mettere un freno al proliferare di questo demone (lo chiamiamo proprio così, da sempre) prodigo di sogni ma capace solo di creare ben conosciute miserie e nuove povertà.Si poteva e doveva fare di più, certo, e su queste pagine da mesi evidenziamo portata e urgenza della questione. E si doveva impedire a ben note lobby e a miopi logiche di frenare la frenata anti-azzardo. Si dovrà rimettere testa e mano alla questione, dunque. E non mancheremo di vigilare e di fare eco a tutti coloro che su questa civilissima linea di fronte si battono a fianco delle vittime di profittatori e di ludopatie. Ma almeno, finalmente, lo Stato ha chiarito che non c’è pubblica legittimazione di una pratica arraffona che – come fumo e alcol – va attentamente regolamentata perché altamente tossica oltre che a serio rischio di creare dipendenze, e per questo non può tollerare alcun permissivismo anche se porta qualche euro in più all’erario in un momento nel quale si pensa di tassare persino la gazzosa.L’azzardo segue però anche altri percorsi assai più inafferrabili, con tentacoli sinuosi e artigli altrettanto feroci. Azzardopoli non si allarga solo per strada, ma anche nel territorio immateriale del Web dove ha trovato l’habitat ideale per prosperare al riparo da decreti, regolamenti e governi. Qualsiasi intervento sulle sale pubbliche – indispensabile, per quanto limitato – non riesce ancora a fare i conti con il mondo parallelo di Internet che le famiglie forse pensavano di avere già inquadrato nella loro complessa gestione educativa dei figli, ma che è passato ben oltre la soglia del computer sul tavolo di studio. Nelle tasche dei nostri ragazzi, e ormai pressoché inseparabili da loro, gli smartphone hanno assorbito infatti tutte le formidabili potenzialità e le imprevedibili insidie del Web domestico moltiplicate da fattori come la portabilità, l’ubiquità e l’accesso del tutto individuale e non sorvegliato a siti e applicazioni di ogni genere. Come con i pc, anche per i telefoni di ultima generazione – affermati come standard nei consumi giovanili – esistono filtri a protezione dei minori, ma è un dato di fatto che i giovanissimi riescano ad accedere alle innumerevoli sale da gioco virtuali dove corrono soldi veri e nelle quali nessuno chiede di esibire sul serio la carta d’identità. Una battaglia appena iniziata è già persa, dunque?L’era della comunicazione digitale ci ha abituati a fare i conti con strumenti che sono sempre un passo oltre la nostra soglia di inquadramento in categorie culturali e pedagogiche: pare di battersi a mani nude con un’offerta inarrestabile di terminali che somigliano sempre più a «telecomandi della vita» come li ha definiti Howard Rheingold, guru americano dei new media. Ma è proprio l’apparente inefficacia delle procedure consolidate di controllo a lanciare ora ai genitori la sfida di una nuova alfabetizzazione educativa e digitale, e insieme di una responsabilità accresciuta cui dobbiamo chiamare noi stessi – primi consumatori compulsivi di super-telefoni – e i nostri figli. Non lasciamo che, per ignavia o superficialità, la libertà promessa dalla tecnologia si trasformi in un triste scippo.
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