Il mandante dell'omicidio di Livatino: «Così lui mi ha cambiato la vita»
Ad Agrigento l’agguato del giudice proclamato beato nel 2021. Il mandante, Salvatore Calafato, si è pentito studiando la sua storia: «La sua umanità mi ha spinto a cambiare»

Ad Agrigento 35 anni fa l’omicidio del giudice proclamato beato nel 2021. Il mandante, Salvatore Calafato, si è pentito studiando la sua storia: «La sua umanità ha acuito il dolore per le mie malefatte e mi ha spinto a cambiare» Questi sono i giorni in cui più forte si fa sentire il dolore per il male procurato. Un male cieco e feroce, che continua a presentare il conto alla sua coscienza, ma che non è rimasto l’ultima, definitiva parola sull’esistenza. Salvatore Calafato - 58 anni, più della metà trascorsi in carcere - sta scontando l’ergastolo per una serie di reati compiuti tra il 1989 e il 1992 nella provincia di Agrigento, il più noto dei quali lo ha visto condannato come mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990 mentre si recava al lavoro ad Agrigento.
Sono passati 35 anni, il ricordo continua a bruciare, ma Calafato non si rispecchia più nei tratti di quel giovane arruolato nelle trame della stidda, l’organizzazione mafiosa rivale di Cosa Nostra che dettava legge nelle sue terre. È stata proprio la figura di Livatino ad accompagnarlo in un percorso di ravvedimento cominciato molti anni fa e sul quale continua a camminare. E proprio questo percorso e il sincero pentimento maturato appaiono come segni della santità di Livatino, primo magistrato ad essere proclamato beato dalla Chiesa il 9 maggio 2021. «Ho trascorso molti anni della mia detenzione, cominciata nel 1993, ripercorrendo mentalmente i fatti di sangue compiuti - racconta Calafato -: la morte del giudice, ma anche gli altri delitti di cui mi sono macchiato dopo essere entrato nella logica mafiosa ed averne fatto una regola di vita, alla quale tutto doveva essere sottomesso. Il dolore che provo per avere procurato la morte del magistrato è lo stesso dolore che nutro nei confronti di tutte le mie vittime e dei loro familiari. Per molto tempo il mio paese, Palma di Montechiaro, è stato il palco su cui la criminalità organizzata ha esibito il suo potere e la sua efferatezza, e io ne sono stato protagonista. Ho bruciato gli anni della mia gioventù, ho procurato tanto male agli altri e a me stesso, anni fa ho chiesto pubblicamente scusa con una lettera ai familiari delle vittime, al sindaco e ai miei concittadini, anche se capisco che questo non può bastare a riparare i danni compiuti. Durante la detenzione nel carcere di massima sicurezza di Pianosa ho letto gli scritti di Livatino e ho scoperto una figura luminosa, uomo di fede e servitore della giustizia. Ricordo un episodio che mi ha segnato: nel giorno di Ferragosto andò di persona a consegnare il mandato di scarcerazione per un detenuto, e a chi manifestava stupore disse che all’interno del carcere c’era un uomo che non doveva restare un minuto in più, perché la libertà della persona prevale su ogni cosa. Scoprire l’umanità di Livatino ha reso ancora più acuto il dolore per le mie malefatte, ma è diventato anche una spinta per il mio ravvedimento. Oggi mi sento una persona cambiata».
Un cambiamento di cui la magistratura ha preso atto: dopo la condanna all’ergastolo nel 1993 e dopo 15 anni trascorsi in regime di 41 bis, Calafato è stato trasferito nella Casa di reclusione di Opera (Milano) e nel 2019 ha ottenuto il primo permesso premio, seguito nel 2023 dalla concessione della semilibertà, grazie alla quale ogni mattina si reca al lavoro rientrando in carcere alla sera. Una volta alla settimana svolge attività di volontariato («per rendermi utile alla società e restituire almeno una piccola parte del bene che ho sottratto con i miei comportamenti») e ha mosso i primi passi per intraprendere un percorso di giustizia riparativa. Spera di essere ammesso un giorno alla liberazione condizionale per tornare a vivere con i familiari. Il lungo periodo di carcerazione è diventato la circostanza per riavvicinarsi alla fede cristiana grazie alla preghiera, al rapporto con il cappellano del carcere di Opera e all’amicizia con alcuni volontari. « Li considero piccoli- grandi segni della misericordia che Dio ha voluto manifestare nei miei confronti, una misericordia che ha trovato in Rosario Livatino il suo volto più luminoso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA






