Esce dal carcere Nunzio De Falco, il mandante dell’omicidio di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994. Lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza per le sue gravissime condizioni di salute. De Falco, 71 anni, boss del clan dei “Casalesi”, arrestato nel 1997, si trovava nel carcere di massima sicurezza di Sassari per due ergastoli, per l’omicidio del sacerdote e per quello di un altro bosse. Ora andrà agli arresti domiciliari nella sua casa di Villa Literno, a pochissimi chilometri dalla parrocchia di San Nicola dove don Peppe venne ucciso dal killer Giuseppe Quadrano, poi diventato collaboratore di giustizia. De Falco, invece, non ha mai ammesso la responsabilità né dimostrato alcun pentimento. (A.M.M.)
Innanzitutto un grande, sincero, commosso abbraccio a Marisa ed Emilio, sorella e fratello di don Peppe Diana. Il loro sconcerto, il loro rinnovato dolore alla notizia che a Nunzio De Falco, detto o lupo, mandante del feroce assassinio del loro caro congiunto, siano stati concessi gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute, sono del tutto comprensibili. A loro, agli amici di sempre di Peppino, agli onesti cittadini di Casal di Principe, la vicinanza sincera mia e di tutti coloro che sul nostro territorio lottano per vedere l’alba del giorno in cui l’infame e vigliacca camorra venga del tutto debellata.
«Per quello che ha fatto, quell’uomo doveva morire in carcere. Io non ho potuto abbracciare negli ultimi istanti mio fratello; don Peppe non è morto circondato dall’affetto dei propri cari», dice Marisa. Vero. Chi potrebbe darti torto, cara amica? Da quel lontano 19 marzo del 1994, però, Peppino Diana, sacerdote tosto e coraggioso, smette di essere un semplice prete della diocesi di Aversa per diventare patrimonio della Chiesa sparsa in ogni angolo del mondo.
Oltre che un vero eroe per la società laica. Da quel giorno, don Peppe è di tutti. Appartiene a tutti. La sua orribile morte ha segnato la rinascita del nostro territorio, delle nostre coscienze, della nostra cultura, del nostro clero. Dal suo sangue versato per amore – e sottolineo: per amore – è scaturita una sorgente di acqua pura che zampilla per la vita eterna. Per tutti. Anche, e credo, soprattutto, per coloro che di lui e della sua inerme forza evangelica, hanno avuto il terrore di essere azzerati. Il sacrificio di Peppino è troppo grande per portare frutti solo in qualche aiuola del giardino di Dio. La sua offerta, come quella di Gesù, abbraccia – deve abbracciare – tutti. Peppino è la fontana del villaggio alla quale tutti hanno il diritto di correre a dissetarsi. Tutti, compresi i camorristi che gli rapinarono la vita. Questa è la più bella vendetta cui, noi, suoi confratelli e amici, possiamo aspirare.
La Chiesa di Aversa non ha mai smesso di chiedere giustizia per questo suo figlio prediletto, senza mai cedere al desiderio di vendetta. Per rimanere fedele al suo Signore e a don Peppino. I figli delle tenebre, illuminati da Cristo e dai suoi degnissimi testimoni, possono sempre accedere al regno della luce. Soprattutto quando il carcere, la solitudine, la sofferenza, la malattia, hanno minato il loro fisico, il loro stupido orgoglio e quello sciocco delirio di onnipotenza. Quando hanno compreso la grandezza e la fragilità di ogni essere umano.
Se la magistratura ha ritenuto che "nostro fratello" Nunzio potesse tornare a casa, perché ormai incapace di incidere sul maledetto meccanismo di quella organizzazione malefica che va sotto il nome di camorra, noi – seppure con sconcertante dolore – accogliamo la decisione presa. Credo che la punizione più dura che De Falco continuerà a scontare, fuori o dentro il carcere, sia il rimorso della sua coscienza per aver decretato la morte di un innocente sacerdote.
Peppino non ha mai smesso di amare la nostra terra e i suoi abitanti. Al contrario, da quando è entrato nell’eternità, la sua intercessione presso il trono di Dio è diventata incessante. Credo che proprio per i camorristi della sua zona, tanti dei quali suoi vecchi amici di scuola e di giochi, o suoi vicini di casa, che si sono lasciati ammaliare dalla sete di denaro e di potere, non ha mai smesso di pregare.
A Nunzio De Falco, e a quelli come lui che tanto male e tanta paura hanno fatto alle nostre vite, l’invito sincero da parte dei confratelli di don Diana ad accogliere nel loro cuore quel Gesù di cui Peppino era innamorato. Lui è la Via, la Verità, la Vita. Lui è la nostra forza, la nostra gioia, la nostra speranza.
No, la scarcerazione di De Falco non dice la debolezza e la negligenza dello Stato, ma la sua capacità di rimanere umano anche di fronte alla disumanità dei camorristi. E proprio come avrebbe fatto Peppino, noi suoi confratelli, ci rendiamo disponibili a correre da De Falco qualora volesse confessarsi e ricevere i santi Sacramenti.