domenica 12 maggio 2019
Eric e Philippa si erano trasferiti a Lesbo nel 2000. Lui scultore e manager, lei musicista e pittrice. Nel 2015 il primo sbarco. E loro ne assistono a centinaia
Eric e Philippa Kempson, la coppia britannica che a Lesbo svolge volontariato per i migranti (foto Scavo)

Eric e Philippa Kempson, la coppia britannica che a Lesbo svolge volontariato per i migranti (foto Scavo)

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Eric e Philippa cercavano il paradiso. Era il 2000 quando lasciarono definitivamente il grigio di Londra per il blu di Lesbo. Lui, un passato da amministratore e un presente da scultore e pittore. Lei, musicista e pittrice. La coppia perfetta per un romanzo nell’isola della poetessa Saffo. Poi, un pomeriggio del 2015, videro un gommone nero alla deriva.

Da allora i Kempson vivono per i profughi. Il loro Hope Projetc fin dal nome vuole ridare una speranza. Le autorità greche non li vedono di buon occhio e non mancano di mettere i bastoni tra le ruote con questioni burocratiche. Quella di Eric e Philippa non è stata una rivoluzione da fricchettoni. Sono infatti i migranti ad autogestirsi. Le ragazze si occupano di tenere in ordine l’enorme capannone per il vestiario. Qui i profughi possono avere un guardaroba nuovo di zecca, grazie agli aiuti che i Kempson ricevono da tutto il mondo. Una sola regola: le donne possono aggirarsi tra gli indumenti in esposizione e scegliere quello che più piace. I maschi no, devono accontentarsi di quello che gli viene passato dalle magazziniere. Nello stanzone accanto è adibito il laboratorio artistico: scuola di pittura, scultura e disegno, corsi di musica e canto.

Qualche giorno fa hanno ricevuto tonnellate di aiuti dalla Open Arms, la nave della Ong spagnola a lungo bloccata in rada e finalmente fatta entrare nel porto. Ma la storia di Eric e Philippa ha finito anche per ispirare volontari stranieri e la gente del posto. Come a Kara Tepe, l’accampamento municipale governato con creatività da dipendenti comunali di Mitilene insieme ai volontari della Caritas e di altre organizzazioni, si respira finalmente un’altra aria. Niente manganelli tirati a lucido né filo spinato. I migranti collaborano alla gestione, che al centro tiene il benessere dei bambini. Le ragazze, tutte, sognano l’Europa e desiderano affrancarsi dalle imposizioni patriarcali. Sono le cristiane siriane, certo le più emancipate, a dare l’esempio. E insieme hanno deciso di dare un segnale, partecipando ai corsi di chitarra più che a quelli di cucito.

Più a valle, sempre alla larga dalla vista dei bagnanti che si apprestano ad assediare le infinite bellezze dell’arcipelago, c’è il kindergarten allestito da alcune Ong dove ogni pomeriggio centinaia di bambini arrivano insieme alle mamme per giocare, ballare, suonare e cantare, superando le barriere etniche che non di rado sono tizzoni pronti ad incendiarsi. Ore di allegria per i più piccoli e di svago per le donne, eroine incomprese, capaci di tenere insieme famiglie altrimenti destinate a dimenticarsi.

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