sabato 30 novembre 2019
Incontro con il «prete da marciapiede». Dei giovani d'oggi dice: mi fa male la mancanza di passioni, la paura di scelte radicali. Ora servono testimoni
Milano, l’inaugurazione di Cascina Molino Torrette nel 1995 con il cardinal Martini

Milano, l’inaugurazione di Cascina Molino Torrette nel 1995 con il cardinal Martini

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«Tu nasci. E nascendo, trovi tua madre. Il resto della vita? È un cammino verso il padre. E verso la paternità, che è una cosa diversa. Ho 90 anni e la morte non mi fa paura. È giusto che arrivi, perché fa parte della vita. Quando arriverà, si compirà il grande desiderio per il quale sono vissuto: conoscere il padre che non ho avuto. Così finalmente potrò incontrare i miei due padri: Dio Padre e il padre che ho perso troppo presto. Ho vissuto nella nostalgia di questo incontro. E l’ho compensata facendo io il padre agli altri. E cercando sempre i peggiori, i "ragazzi cattivi", quelli che hanno sbagliato, fatto soffrire, sofferto di più. È questo che mi ha salvato. In fondo, c’è una grande mancanza di paternità alla radice del disagio e della fragilità dei giovani d’oggi. Gli uomini non hanno ancora imparato a fare i padri».

Don Antonio Mazzi ama chiamare le cose col loro nome. Lo fa con gli altri. Lo fa con sé. Anche ora che c’è da aprire la porta ai 90 anni che bussano. E chiamano a fare il punto. Guardando al cammino fatto. E a quello che viene.

Quanta strada fatta da quel 30 novembre 1929 quando il futuro «prete di strada» (definizione che gli va stretta) vide la luce a Verona. E quanta strada fatta dal 1984, quando avviò Exodus, esperienza innovativa per il recupero dei tossicodipendenti. Una storia che, in fondo, gli ha preso meno della metà della sua vita. «Ma il fatto è che dentro i miei 90 anni ci sono state almeno sei o sette nascite, e quando ho cominciato Exodus avevo 50 anni suonati!», sorride il sacerdote accogliendo il cronista nella propria stanza, alla Cascina Molino Torrette, cuore e grembo di Exodus, in quel Parco Lambro che 35-40 anni fa era il regno dello spaccio a Milano.

Dipendenze, carcere, terrorismo, Aids, grave emarginazione sociale. Quante sfide ha affrontato l’«avamposto» di Exodus in questi decenni. Ecco: cos’è cambiato, nel tempo? «Oggi non ci sono più i luoghi di battaglia. E non ci sono gli ideali, le passioni, i conflitti, magari sbagliati, che muovevano i ragazzi di allora. Quello che mi fa stare male nei giovani d’oggi – confessa don Mazzi – è la mancanza di passioni. Che è più che una disperazione: è assenza di speranza. E di ideali, valori, passioni. È paura delle scelte radicali. Così abbiamo giovani pronti ad andare in Africa per 15 giorni a fare volontariato, ma non a sposarsi. Più che fragilità, parola nobile, è un vuoto. Che i nostri ragazzi, quelli della classe borghese come i figli delle periferie di Lambrate o di Quarto Oggiaro, cercano di riempire in ogni modo, e allo stesso modo, con quel che passa questa società di uomini di cartapesta. E allora ci mettiamo il telefonino e il motorino, l’alcol, il gioco d’azzardo o la droga. E si diventa cattivi, con sé e con gli altri, e intolleranti verso il diverso, più per mediocrità e conformismo che per cattiveria».

Questi ragazzi d’oggi, dunque, hanno bisogno di padri. «Soprattutto nell’adolescenza, che è il periodo più critico. Anche per il padre. Ma è lì che il figlio ha più bisogno di lui». Parla degli altri, don Antonio. Ma parla anche di sé.

«Mia madre è rimasta vedova dopo 30 mesi di matrimonio. E non ha smesso mai un minuto, per il resto della sua vita, di pensare a mio padre. Noi, tutto il resto, veniva dopo. Non mi ricordo un bacio di mia madre. Io non ho mai giustificato il Padreterno che, rubando mio padre, mi ha rubato anche la madre. E sono cresciuto non cattivo ma duro, bastardo, pronto a reagire sempre. Così mi hanno mandato a scuola dai preti. E se sono diventato prete a mia volta, non è perché ho sentito la "chiamata di Dio", come si usa dire, ma perché Dio mi ha preso per l’orecchio e mi ha "messo in trappola" dentro le situazioni più incasinate e difficili, che sono quelle che ho sempre amato di più. È stato durante l’alluvione del Polesine, mentre sulla barca con i pompieri andavamo a tirare giù i bambini dai tetti, che ho pensato per la prima volta di farmi prete».

Dalla Città dei Ragazzi di Ferrara a Primavalle, da Verona a Milano: tutta una vita «sull’avamposto, dentro un esodo permanente», come ama dire don Mazzi; tutta una vita «tra Madre Teresa e Fabrizio Corona», fa sintesi il sacerdote, a scoprire come «la pedagogia che Cristo ha usato con me, è quella che senza saperlo ho usato io con gli altri», e che «Dio è davvero tra noi, e sono i poveri a farci scoprire il mistero della presenza di Dio».

E che la Chiesa e la società d’oggi «non hanno bisogno di preti funzionari, ma di sacerdoti e di laici che vivono le Beatitudini, cercano il Regno di Dio, sanno farsi testimoni del suo perdono».

Ecco: «Aver scoperto la paternità di Dio mi ha aiutato a realizzare, poveramente, la mia paternità. È questo che mi ha salvato. In Exodus abbiamo persone di ogni provenienza. A tutti ho imposto una sola regola: una volta al giorno, qualunque sia la loro religione, prendersi per mano e dire insieme il Padre nostro».



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