lunedì 14 novembre 2022
Sei Paesi Ue, Italia compresa, potrebbero autorizzare nel 2023 la sperimentazione con cellule staminali pluripotenti. Piemonti (San Raffaele): potremmo risolvere i problemi legati ai trapianti
Il professor Lorenzo Piemonti (San Raffaele)

Il professor Lorenzo Piemonti (San Raffaele)

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Si apre una nuova era nella lotta al diabete. Poche settimane fa sono state sottoposte alla valutazione delle agenzie regolatorie di sei Paesi europei, Italia compresa, le domande per avviare le prime sperimentazioni con terapie cellulari da staminali pluripotenti. Si tratta di approcci che potrebbero superare alcuni degli attuali limiti dei trapianti di isole pancreatiche o di pancreas, vincolati ad una disponibilità di donatori sempre più rara, e associati a complicati aspetti immunologici per la presenza, accanto al classico rischio di rigetto, del rischio di distruzione per una “intolleranza” del nostro organismo, ovvero dall’auto-immunità. I trial clinici dovrebbero partire entro il primo semestre del 2023, una volta superata la valutazione degli organi regolatori.

Le attese sono enormi. Perché, pur non essendo una malattia trasmissibile, il diabete viene definito un’autentica “pandemia silente del terzo millennio”, che si sviluppa in modo progressivo: entro il 2040 saranno oltre 640 milioni nel mondo le persone che dovranno confrontarsi con questa patologia, già oggi tra le prime cause di morte. In Italia si stimano 300 mila persone affette da diabete di tipo 1 e circa 3,5 milioni dal tipo 2 (solo contando i casi diagnosticati) con una prevalenza pari al 5.9% che aumenta al crescere dell’età, fino a raggiungere il 21% tra le persone ultra 75enni (dati Istat 2020). Nel caso del diabete di tipo 1 si tratta di una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario danneggia le cellule del pancreas che producono insulina, l’ormone fondamentale per il metabolismo degli zuccheri. Nel diabete di tipo 2, invece, l’organismo produce insulina ma non riesce a utilizzarla correttamente a causa di complesse disfunzioni metaboliche.

«La ricerca sta aprendo prospettive completamente differenti rispetto alle tecniche oggi in uso – dice il professor Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute e della neonata unità di Medicina rigenerativa e dei trapianti dell’ospedale San Raffaele di Milano -. Perché nel tipo 1, ma anche in una frazione dei soggetti con tipo 2, potremmo trattare la malattia con farmaci “viventi”, ovvero con le cellule». Fino ad ora, quando possibile, erano utilizzati i trapianti di isole pancreatiche, che però «rappresentano un esempio “vintage” di medicina riparativa o rigenerativa. Intendiamoci – osserva Piemonti -, con il trapianto di cellule pancreatiche è stato possibile curare e anche guarire la malattia e sono oggi considerate come uno standard nelle linee guide della terapia del diabete di tipo 1 per una nicchia altamente selezionata di pazienti. Ma i donatori sono pochi ed è impossibile farlo in assenza di immunosoppressione, poiché si tratta pur sempre di un trapianto che richiede farmaci per abbassare le difese immunitarie ed evitare il rigetto».

Questi due problemi potrebbero essere risolti: «Le cellule staminali pluripotenti rappresentano una possibile soluzione – aggiunge Piemonti -, perché possono essere prodotte in laboratorio in grandissimi numeri, senza dipendere, quindi, dalla disponibilità di un donatore. Inoltre, sfruttando processi di ingegnerizzazione che stanno garantendo, nelle ricerche in atto, buoni profili di sicurezza (non generando tumori), possiamo renderle invisibili al sistema immunitario, risolvendo il problema dell’auto-immunità e del rigetto, aprendo la strada alla disponibilità del cosiddetto “donatore universale”».

Oggi nel mondo, riprende il primario, «sono registrati 6 studi clinici che utilizzano cellule staminali pluripotenti umane per la terapia del diabete di tipo 1 e i primi pazienti nei quali sono state impiantate hanno presentato un evidente beneficio clinico». Da qui la nascita di un reparto di medicina rigenerativa: «Queste terapie – evidenzia Piemonti - richiedono di essere eseguite in centri altamente specializzati con équipe multidisciplinari comprendenti anche figure professionali non presenti normalmente al letto del paziente, come quelle dei biotecnologi, dei bioingegneri, dei biologi cellulari; tutte indispensabili perché le modalità dell’approccio rigenerativo alle malattie richiedono nuovi modelli organizzativi e gestionali che presto noi pensiamo diventeranno una necessità per altre branche della medicina. Noi proviamo semplicemente ad anticipare un po’ i tempi». Cosa che ha sempre contraddistinto il San Raffaele. È proprio grazie alla ricerca sul diabete, infatti, che l’ospedale milanese è stato riconosciuto per la prima volta come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico nel 1972, un anno dopo la sua fondazione; ed è proprio al San Raffaele che, nel 1989, è stato eseguito il primo trapianto in Europa di isole pancreatiche – ovvero il trapianto di cellule beta del pancreas da uno o più donatori –; a distanza di 33 anni, nel 2022, questa tecnica è entrata nelle linee guida nazionali dell’Istituto superiore di sanità. Nel 2018, inoltre, l’ospedale è stato uno dei partner coinvolti nel primo trapianto in Europa di cellule insulino-secernenti ottenute da cellule staminali pluripotenti. «Sono passati solo 4 anni – conclude Piemonti – ma già sufficienti per offrire nuove cellule con capacità terapeutiche superiori».

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