mercoledì 23 aprile 2025
Il Papa si occupava concretamente del rispetto della dignità delle persone, specie dei più fragili, anche attraverso una rete informale e varia di “consulenti” che segnalava dossier su irregolarità
Il Papa in Vaticano con alcuni migranti sopravvissuti all'affondamento di un barcone nel 2013 al largo di Lampedusa

Il Papa in Vaticano con alcuni migranti sopravvissuti all'affondamento di un barcone nel 2013 al largo di Lampedusa - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Alla fine di febbraio del 2015 sulla scrivania di Papa Francesco arriva un dettagliato rapporto sul traffico internazionale di droga. Ci sono mappe, foto satellitari, note investigative. Il dossier mostra che in America Latina le rotte dei narcotrafficanti sono sovrapponibili a quelle della tratta di esseri umani e dello smercio illegale di armi. Dal Messico all’Europa, passando per l’Africa e i porti libici.

Stessi percorsi, stessi clan, stessi boss, medesime coperture politiche. Per il Pontefice quella è la riprova che occuparsi di migranti e profughi significa difendere la dignità delle persone e colpire al cuore un sistema di interessi transnazionale e trasversale. E attirarsi una masnada di nemici: dalla criminalità organizzata ai notabili di alcuni uffici di governo in diversi Paesi europei.

I contenuti del report vengono mostrati al Papa da Gustavo Vera, allora deputato di Buenos Aires e vecchia conoscenza di Francesco. Leader de “La Alameda”, un’organizzazione non governativa che combatte la mafia, la tratta di esseri umani e lo sfruttamento dei lavoratori, non solo mostra all’amico diventato Papa una mappa con i distretti argentini nei quali poi è stata accertata la presenza di laboratori per la produzione di cocaina e suoi derivati. Sulla cartina sono segnate con delle “X” le piste di atterraggio clandestine usate dai narcos. E i porti da cui la coca salpa per l’Africa e da qui all’Europa.

Da quel momento Vera viene convocato presso l’Accademia pontificia della Scienze sociali. E a porte chiuse fa nomi e cognomi, multinazionali comprese. Nasce così l’informale “team Bergoglio”. Chi lo compone in realtà non sa di farne parte. Diplomatici, giornalisti, attivisti per i diritti umani, investigatori, ricercatori universitari, preti, magistrati, suore, medici, pastori protestanti, premi Nobel. Francesco tesse così una sua rete di “consulenti”, secondo il corroborato metodo degli informatori gestiti a compartimenti stagno, come durante la dittatura argentina, quando negli anni ‘70 riuscì a mettere al sicuro e far esfiltrare numerosi perseguitati dalla giunta militare di Buenos Aires e all’occorrenza dissidenti dall’Uruguay e da altre “Banana Republic” sudamericane.

Chi ha frequentato Casa Santa Marta o a sorpresa riceveva le sue telefonate, oggi racconta di quanto Papa Bergoglio fosse informato sulle dinamiche del traffico internazionale di esseri umani. Fino a conoscere a memoria, ad esempio, i nomi di controversi esponenti libici apparentemente di seconda fila, collegando poi queste figure ai loro referenti politici e ai terminali in Paesi come Malta e Italia.

«Ogni volta che lo andavo a trovare o ci sentivamo mi forniva numeri così aggiornati e dettagliati per ognuno dei continenti - racconta un alto funzionario delle Nazioni Unite -, sempre sorprendendomi perché io dovevo chiamare i miei collaboratori a New York per essere certo che fossero esatti e ogni volta avevo la conferma che il Papa era perfino più aggiornato di noi».

Le diverse organizzazioni umanitarie nate per soccorrere i migranti in mare sono diventate di casa in Vaticano, che si trattasse di parlare con il Pontefice o con i suoi più stretti collaboratori. Più volte il Papa ha seguito di persona la sorte di singoli migranti, perorandone la causa per la loro liberazione dai campi di prigionia, e affidando al “team Bergoglio” il compito di trovare strade per salvare vite per mare e per terra, fino a occuparsi della loro dislocazione e sistemazione in Italia e in Europa. «Se una cosa è giusta - disse una volta a un gruppo di soccorritori lamentandosi per certe dilaganti norme restrittive - allora non può essere illegale». Era l’altro modo con cui chiedeva di farsi sentire: “Hagan lio”, da lui talvolta tradotto come “fate casino”. Lo ha ripetuto anche nel Messaggio ai giovani nel 5° anniversario dell’Esortazione Apostolica post-sinodale “Christus vivit”, del 25 marzo dell’anno scorso. «All’inizio del mio Pontificato, durante la Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, vi ho detto con forza: fatevi sentire! “Hagan lio!”. E ancora oggi torno a chiedervelo: fatevi sentire, gridate, non tanto con la voce ma con la vita e con il cuore, questa verità: Cristo vive! Perché tutta la Chiesa sia spinta a rialzarsi, a mettersi sempre di nuovo in cammino e a portare il suo annuncio a tutto il mondo».

Anche per questa ragione aveva voluto che vescovi, suore, sacerdoti, salissero sulle navi di salvataggio, che fossero presenti lungo la rotta balcanica, che non mancassero sui sentieri dei respinti nell’America del Sud e in Africa. In Brasile c’è perfino il “Barco Hospital Papa Francisco”, il battello ospedale di 32 metri ideato dai frati francescani. E non è un caso che Jorge Mario Bergoglio avesse progettato la “Sezione Migranti e Rifugiati” del dicastero per lo Sviluppo umano integrale - un’altra delle “invenzioni” del Pontefice - costruendo una rete transnazionale che facesse da motore per far circolare idee e informazioni, fra l’altro un collettore di notizie e analisi per monitorare e affrontare il turpe mercato delle vite umane, compreso il traffico di organi.

In Italia Papa Francesco, con le sue parole ha più volte ribadito non solo l’affetto ma una sorta di investitura per sacerdoti quali don Mattia Ferrari. Qualche volta si dispiaceva che ci andasse di mezzo chi lui stesso aveva personalmente sostenuto oltre che esortato ad andare avanti, nonostante gli intralci. Come ebbe a scrivere Bergoglio in un altro dei suoi messaggi vergati di pugno e destinati a uno dei suoi “consulenti”, considerava tante organizzazioni umanitarie come «vittime di persecuzione». Inspiegabilmente: «E questo per salvare vite!».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI