lunedì 9 giugno 2025
La bocciatura del quesito referendario e il dato sul “no” fanno riflettere l’opposizione. In Parlamento giacciono 18 testi di riforma, anche se il percorso adesso appare in salita
Giovani di seconda generazione in piazza a Roma

Giovani di seconda generazione in piazza a Roma - Fotogramma

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Cosa resta di una mobilitazione? E che spazi ci sono per parlare ancora di cittadinanza? Il doppio interrogativo che segue al mancato quorum referendario non tiene banco solo tra le nuove generazioni di stranieri nati e cresciuti nel nostro Paese, che pure hanno avuto modo di farsi conoscere più e meglio di prima in questi mesi di campagna elettorale da buona parte dell’opinione pubblica. Riguarda anche una politica e un Parlamento in cui il tema aleggia da sempre e che adesso ha meno tempo per legiferare, visti i due anni scarsi che separano la consultazione che si è appena svolta dalla fine della legislatura.

È evidente che l’interesse a intervenire adesso sulla situazione dei cosiddetti “nuovi italiani” è scemato, mentre forse è cresciuta la consapevolezza che si tratta di un tema assai più divisivo del previsto, se oltre un elettore su tre è andato alle urne per dire “no” al quesito voluto dal comitato promotore. Il percorso si è fatto ancora più in salita e la méta appare irraggiungibile oggi. Eppure tra Camera e Senato giacciono tuttora 18 testi depositati come proposte di riforma (13 a Montecitorio, 5 a Palazzo Madama) e la discussione non è mai iniziata. Venuto meno il possibile coup de theatre della riforma per via referendaria, cosa si può trattenere di positivo in sede parlamentare? Come abbiamo più volte segnalato su queste pagine, le proposte presentate da Forza Italia e dal Pd rimangono, su fronti diversi, le basi più vicine del confronto mai iniziato. Fi ha puntato sullo Ius Italiae, che vuole garantire la concessione della cittadinanza a bambini e ragazzi che abbiano completato un percorso di studi obbligatorio di almeno 10 anni nel nostro Paese, dopo aver limitato l’accesso allo Ius Sanguinis per i cosiddetti oriundi alla seconda generazione. Importante, in tutto questo, pare essere soprattutto la finalità di voler accorciare i tempi di risposta da parte dello Stato per chi chiede la naturalizzazione. Su questo punto, c’è l’unico tratto in comune con il Partito democratico, che invece vorrebbe partire dallo Ius Scholae già dalle scuole dell’infanzia.

Da dove ripartire

«Il tema della cittadinanza esiste e non va cancellato» spiega Paolo Emilio Russo, capogruppo di Forza Italia in Commissione Affari costituzionali, «ma il referendum è stata un’arma impropria, usata male e che si è rivelata alla fine un boomerang». Vista dalla maggioranza di governo, sorprende poco il dato del 35% circa di “no” al quesito. Si conferma infatti, forse al di sopra delle previsioni, quanto sia polarizzante il dibattito sui “nuovi italiani”, non solo per gli elettori moderati (e si sapeva) ma anche per una parte del mondo progressista (ed era meno prevedibile). Per Ouidad Bakkali, parlamentare del Pd e prima firmataria della riforma sulla cittadinanza proposta dal suo partito, «la battaglia culturale non è finita e certamente aver affrontato questa sfida in un clima securitario non ha aiutato. Però si è ricreato un fronte di associazioni, partiti e militanti che si era sgretolato nel 2017 e questo non è poco».

Secondo Russo, «il rischio che si registrasse un concreto disinteresse sull’argomento era concreto, come poi abbiamo visto. Adesso uno scenario in cui il Parlamento non legifera più sulla materia è molto realistico». Fosse per Forza Italia, si dovrebbe ripartire dallo Ius Italiae, ma l’accento non è solo sui 10 anni di scuola necessari (due cicli scolastici completi). «Questi ragazzi hanno diritto a ad avere la cittadinanza al massimo in un anno» ribadisce Russo. Qui la sintonia con Bakkali, diventata italiana a 23 anni dopo essere arrivata dal Marocco, è evidente. Per la parlamentare democratica «è giusto insistere sulla via della semplificazione burocratica: non si possono perdere 3-4 anni per ottenere una risposta dallo Stato. Su questo – aggiunge – sono convinto si possa trovare una convergenza anche con Fratelli d’Italia».

La semina e i frutti

Le sensibilità restano distanti, ovviamente, a partire dal nodo della meritocrazia: si deve meritare di diventare italiani o si tratta semplicemente di un diritto da riconoscere? E parliamo di un diritto di sangue o di una prerogativa legata semplicemente al fatto di essere nati e cresciuti su un determinato territorio? Il sogno di «un testo equilibrato», come lo definisce Russo, è destinato a restare tale nei prossimi mesi, soprattutto se prevarrà la logica della paura, che il referendum non ha smentito e che ha portato molte trasmisssioni tv e diversi opinionisti poco informati a fare di tutta l’erba un fascio. «Quando non era il silenzio a parlare, toccava alla disinfomazione fare la sua parte – dice Bakkali con una punta di amarezza -. Così abbiamo assistito ad attacchi frontali anche verso le seconde generazioni, un’offensiva mediatica che francamente ci saremmo risparmiati. Ma questo ci spingerà ancora di più a informare e ad affrontare i timori di una parte dell’opinione pubblica che si è espressa con il “no” e che va rispettata ovviamente. Le questioni sono ancora tutte lì e siamo convinti che la semina che abbiamo fatto a suo tempo darà frutto».

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