venerdì 2 agosto 2019
Alla Festa di Avvenire a Lerici, la testimonianza della fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti che ha ricevuto il Premio Narducci 2019
Chiara Amirante, Premio Narducci 2019 alla Festa di Avvenire di Lerici

Chiara Amirante, Premio Narducci 2019 alla Festa di Avvenire di Lerici

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«Non sono venuta a ritirare un premio, ma a dire che c’è bisogno di ciascuno di voi, che c’è un grido enorme e inascoltato e non possiamo restare indifferenti, sarebbe omissione di soccorso, un reato». La piazza di Lerici, gremita, ha accolto mercoledì sera con un caloroso applauso l’ingresso di Chiara Amirante, la fondatrice della comunità 'Nuovi Orizzonti', insignita durante la 44esima Festa di Avvenire del Premio 'Angelo Narducci'.
Venticinque anni fa la chiamata a scendere tra il popolo delle tenebre e portare la luce della speranza, dire che non è mai finita per nessuno, che si può sempre rinascere, a partire dal perdono di se stessi. È quella guarigione del cuore cui Chiara ha dedicato metà della sua vita, raggiungendo tanti anni fa i primi ventisette disperati nei bassifondi della Stazione Termini a Roma, per poi contagiare oltre 700mila 'fratellini', come li chiama lei, in tutto il mondo (1.020 oggi le équipe di servizio, 228 i Centri di accoglienza, 63 i Centri di ascolto e prevenzione). La guarigione del cuore si intitola anche il suo ultimo libro (Piemme), un vero manuale per ritrovare la gioia di fronte al miracolo dell’esistenza.

«Il male di oggi è la solitudine, uno sterminato numero di giovani vive nell’inferno dei nostri deserti metropolitani, intrappolati in mille dipendenze, in cose che chiamano amore ma è tutt’altro». Non occorre più scendere nei bassifondi, gli inganni di oggi li troviamo ovunque, «e noi ovunque andiamo, a testimoniare questo miracolo della gioia che è il vero amore». Descrive drammi, incontri disperati, richieste di aiuto, ma non smette mai di sorridere. In parte è ciò che ha salvato 25 anni fa il suo primo 'incontro', Angelo, ragazzo in overdose e al suo terzo tentativo di suicidio. «Ero appena scesa a vivere con loro nei sotterranei della stazione, allora il Bronx di Roma – ha raccontato Chiara – e avevo paura, mi chiedevo che cosa potessi dire a tossicodipendenti, assassini, prostitute. Con che parole potevo avvicinarli e parlargli di Gesù e della gioia? Ma presto mi resi conto che era come andare nel deserto con delle brocche d’acqua: non occorre parlare, c’è una sete che reclama».

Angelo si salvò perché lei per prima semplicemente lo ascoltò, «tempo dopo mi disse che aveva visto nel mio sguardo quella gioia, ormai sapeva che esisteva e voleva conoscere quel mio Gesù». Dopo di lui a migliaia, in un contagio collettivo, per combattere contro quella che papa Francesco ha chiamato 'la terza guerra mondiale a pezzi': «I numeri sono da brividi – ha ricordato Chiara –: 56 milioni di aborti ogni anno nel mondo, che sono 56 milioni di morti (più dei 44 milioni della seconda guerra mondiale) ma anche di cuori di madre uccisi. O 250 milioni di bambini vittime dei pedofili». Guarita a 20 anni all’improvviso da una cecità che presto l’avrebbe condannata al buio, Chiara scelse di scendere nel buio spirituale di tanti fratelli, armata solo della certezza che deriva dalla fede: «Amatevi come io vi ho amato, ci ha detto, ci ha chiesto una follia. E io proprio durante la malattia ho sperimentato il dono della gioia incontenibile, dovevo condividerlo, ma cieca com’ero come potevo? Feci una preghiera semplice: tu sei il Dio dell’impossibile, se mi metti nel cuore questa spinta io ti dico sì, ma tu mettimi nella condizione. Come se n’era andata, la vista all’improvviso mi tornò».

La santità tocca a ciascuno, nessuno escluso, «può fare paura, ma è volontà di Dio, quindi è possibile, chiedete allo Spirito Santo qual è il vostro dono e fate la vostra parte». «Queste parole a noi fanno bene – ha commentato alla fine Marco Tarquinio, direttore di Avvenire –. Il bene c’è, sappiamo che nome ha e va amato. E dà un senso al nostro lavoro: l’amore è un fatto di cronaca».
«Ognuno di noi è se stesso, ma lo è in relazione con gli altri – ha concluso il vescovo di Spezia-Sarzana-Brugnato Luigi Ernesto Palletti –. Non c’è nessuno che abbia così poco che non possa dare, e che abbia così tanto che non possa chiedere».

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