martedì 11 febbraio 2025
Nella notte 181 presunti affiliati alle cosche sono stati fermati: è il blitz più imponente dai tempi di Tommaso Buscetta. Gli ordini partivano dal carcere. I boss "nostalgici": siamo caduti in basso
Forze dell'ordine schierate a Palermo dopo la retata della notte

Forze dell'ordine schierate a Palermo dopo la retata della notte

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La grande retata di Palermo ha avuto inizio tra la notte e l’alba. Sono 181 i presunti mafiosi fermati e arrestati in una maxi-operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di portata storica. Per trovare un precedente bisogna risalire al settembre del 1984, al blitz di San Michele, nato dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, con 366 arresti. Ma era un altro contesto.

Milleduecento carabinieri sono stati impegnati nelle operazioni e hanno battuto palmo a palmo i mandamenti di Santa Maria di Gesù, Porta Nuova, San Lorenzo, Bagheria, Terrasini, Pagliarelli e Carini. L'inchiesta, coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella, ha messo in luce l'organigramma delle principali famiglie, gli affari dei clan e il disperato tentativo di Cosa nostra di ricostituirsi, dopo la repressione che ha scompaginato i piani criminali dell’organizzazione.

Le accuse sono un classico: associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d'azzardo. Tutto il campionario di una vecchia-nuova Cosa nostra che, addirittura, commemorava se stessa e il suo "passato glorioso", come emerge da alcune intercettazioni.

«Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito; arrestano un altro… livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando? - diceva il capomafia di Brancaccio Giancarlo Romano -. Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane».

«Ma tu devi campare con la panetta di fumo (si parla di droga, ndr), cioè così siamo ridotti? - aggiungeva il boss, con riferimento alle ristrettezze del presente -. Le persone di una volta, quelli che disgraziatamente sono andati a finire in carcere per tutta la vita, ma che parlavano della panetta di fumo? Cioè se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena di fumo. Se tu parli con quelli che fanno business, ti ridono in faccia, Ma questo business è? Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi. Noi pensiamo che facciamo il business, oggi sono altri. Dico, eravamo prima noi, oggi lo fanno altri, ... noi siamo gli zingari».

Eppure, questa mafia ‘nostalgica’ sapeva utilizzare le tecnologie contemporanee per tentare di smagliare la rete dei controlli. I mafiosi in carcere – secondo quanto emerge dall’inchiesta – avrebbero avuto a disposizione microsim e cellulari criptati, per parlare indisturbati e continuare a dare ordini all’esterno, grazie a software con sistemi di cifratura superiori agli apparecchi in uso. Così, nonostante la reclusione, sarebbero riusciti a organizzare il traffico di droga e a organizzare i summit di Cosa nostra.

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